La vittoria di Donald Trump alle presidenziali americane, tanto inimmaginabile alla vigilia quanto netta ed inequivocabile nelle urne, ha delineato oltre che un indiscutibile vincitore, soprattutto alcuni pesantissimi sconfitti. Intanto l’avversaria, poi il presidente Obama, ma soprattutto la stampa a stelle e strisce, travolta e sgomenta davanti al successo del miliardario newyorkese. Tutti i giornali democratici, ma anche molte testate tradizionalmente legate ai repubblicani, hanno dipinto per mesi il tycoon come il peggiore dei mali, definendolo alternativamente come incapace, pericoloso, evasore fiscale, sessista, razzista, uniti al coro di tanti pseudo opinion makers rappresentanti della cultura, dello spettacolo, della musica.
Davanti al voto popolare, che vergognosamente troppi commentatori vorrebbero sminuire o giudicare come populista, la stampa americana ha subìto un autentico tracollo che ha sbriciolato la sua autoreferenziale credibilità. Solo contro tutti, Trump ha spazzato via quei giudizi che si sono rivelati nella loro vera essenza: non frutto di analisi corretta o di reale conoscenza della società e dei suoi umori, caratteristiche fondanti del vero giornalismo definibile come tale, ma prodotto di una svendita professionale ed etica ai migliori offerenti del momento,
Le inequivocabili parole di Giovanna Botteri, inviata permanente di RAI 3 negli USA, che ha lamentato incredula “la mancata influenza dei mass media” sulle elezioni alla Casa Bianca, rappresentano al di là di una indecente interpretazione della propria professionalità, il vero credo di troppi giornalisti odierni. Non è importante rappresentare la realtà, forse non lo è neanche conoscerla, perché basta utilizzare i mezzi di informazione per indirizzare e manipolare fatti e circostanze nell’interesse del potente di turno.
La Waterloo giornalistica conseguente il trionfo di Trump, proprio per l’eccezionale rilievo dell’evento ha quindi dimostrato come anche l’informazione sia espressione di una casta. Troppe volte, anche oltre il paese “più democratico del mondo” e non solo in grandi realtà, l’interessato sostegno della stampa è spesso strumentale a potenti lobbies, ma anche e più banalmente al volere di interessi particolari, poco rilevando se la contropartita sia la benevolenza del potere, i finanziamenti da capogiro che ruotano intorno ad operazioni politiche od economiche di grande rilievo, oppure i pochi spiccioli del micro finanziatore di turno.
L’informazione ha una funzione critica essenziale nella società e per recuperarle dignità e credibilità è dunque necessario che faccia autocritica, riconosca i propri errori, abbandoni supponenza e tuttologia, ma soprattutto ritorni a quell’etica del giornalismo che dovrebbe identificare il popolo e la società come suoi principali editori di riferimento, sostituendoli ai propri sponsor, indipendentemente dai benefici tratti e dal contenuto dei loro portafogli.
Marcello Meroi