Credo che abbia proprio ragione Massimo Cacciari (per chi non lo sapesse, il filosofo ex sindaco di Venezia). Questa riforma costituzionale non è un granché (si poteva fare meglio), ma bocciarla da parte dell’elettorato italiano rappresenterebbe l’ennesimo passo indietro compiuto da un conservatorismo cronico degno del miglior gattopardismo italiano (dire di cambiare tutto per poi non cambiare nulla).
Lo dico dopo essermi posto di fronte a questo tema in maniera laica, spogliandomi delle vesti di tifoso dell’una o dell’altra categoria. Tentando di ragionare a mente fredda. Analizzando il merito della nuova legge, ma anche le conseguenze politiche ed economiche del risultato, impossibili da ignorare in un momento difficile come l’attuale. Quello che appunto l’intero globo terrestre sta attraversando.
E allora. Abolizione del bicameralismo perfetto, risparmio di un po’ di soldi pubblici (sono pochi? Meglio di niente), riorganizzazione dei rapporti tra Stato e Regioni mi sembrano già tre punti chiari su cui – in teoria – il novanta per cento degli italiani dovrebbe essere d’accordo. Se non altro perché di questi temi se ne parla da oltre trent’anni, ma nessuno – fino a ieri – è riuscito a passare dalla teoria alla pratica. E perché ci consegnerebbero uno Stato più semplice, più efficiente, più snello. Contribuendo a limitare quel problema annoso che riguarda soprattutto l’Italia: la politica, con la sua lentezza, non riesce più a star dietro ai mutamenti di una società che ormai viaggia alla velocità della luce. E quindi finisce per essere sempre in ritardo, lasciando incancrenire i problemi, senza mai risolverli o – come spesso è accaduto in passato – chiudendo la stalla quando ormai i buoi erano già usciti.
Si potrebbe finirla qui. Ma purtroppo – e sottolineo purtroppo – in tutto questo bailamme si è inserito un problema strettamente politico che ha scatenato le rispettive tifoserie: Renzi dentro, Renzi fuori. Diventato ormai prevalente rispetto a quello che dovrebbe essere il vero spirito referendario. Ma che rischia di essere esiziale per il futuro del Paese.
Mi spiego. Sempre con spirito laico (e non da tifoso) ho provato a immaginare – per quanto possibile – i due scenari futuri che l’Italia e gli italiani avrebbero di fronte dopo il risultato del prossimo 4 dicembre.
Vince il sì. È innegabile che il governo Renzi assumerebbe nuovo vigore, soprattutto in Europa, dove è in corso ormai da mesi un’estenuante battaglia sulla visione della società, sull’economia, sulle politiche da attuare per risollevare il continente di fronte a una globalizzazione che va governata con intelligenza se non si vuole arrivare a grandi passi (e qui faccio il pessimista, ma purtroppo a ragion veduta) verso una disastrosa (per tutti) terza guerra mondiale. Dopodiché, visto che nel 2018 terminerà l’attuale legislatura, ognuno di noi sarà libero di giudicare il governo Renzi, attraverso le elezioni politiche, e promuoverlo o bocciarlo a seconda del proprio modo di pensare. Ma questa è – e dovrebbe essere – una battaglia completamente diversa da quella che si sta combattendo oggi.
Vince il no. L’Italia subirebbe un colpo gravissimo di fronte all’Europa, dimostrando di non essere in grado di attuare le riforme promesse. E i fautori dell’austerità (quelli che proprio Renzi sta combattendo) tornerebbero alla carica più agguerriti che mai. E sul fronte interno? Tutti dicono di tornare al voto: ma con quale legge? Riformare l’Italicum con un testo che metta tutti d’accordo (visto il clima) appare impresa più complicata che arrivare a piedi su Giove. Ma il bello è che per il Senato una legge elettorale non esiste proprio. E allora si dovrebbe ricorrere al proporzionale puro. Ora, per quanto i sondaggi siano farlocchi, non c’è dubbio che l’Italia in questo momento sia spaccata in tre fazioni (centrodestra, grillini e centrosinistra), ognuna con circa (decimale in più o in meno, poco importa) un 30 per cento di consensi. Ergo, di fronte a nuove elezioni ci si ritroverebbe ancora una volta senza un vincitore assoluto e l’unico rimedio sarebbero le famigerate larghe intese. Quelle, per intenderci, che hanno portato al Governo Mario Monti, Enrico Letta e lo stesso Matteo Renzi. I tre presidenti del Consiglio non eletti dal popolo (affermazione presa in prestito da ciò che affermano centrodestra e grillini) e costantemente vituperati da tutte le opposizioni. Conclusione: cambiare tutto per non cambiare nulla (Tomasi di Lampedusa docet) con magno gaudio di tutta quella stirpe di morti viventi (i Demiti, i D’Alemi, i CiriniPomicini e via dicendo) che avrebbero ancora la possibilità di ricavarsi la loro fettina di potere.
Non sono uno di quelli (non lo sono mai stato) che crede di avere la verità in tasca, né mi sento oggi di appartenere a una tifoseria piuttosto che a un’altra. Ma credo che nell’esprimere una posizione sia indispensabile spegnere l’interruttore della pancia e accendere quello del cervello. Quello che mi auguro è che tutti ragionino a mente fredda e facciano la loro scelta, ma stando con i piedi per terra e non lasciandosi trascinare dal tifo (quello, per chi mi conosce, sa che lo riservo solo alla mia Roma).
Con questo articolo ho voluto dare solo un mio umile contributo alla chiarezza, visto che in questi giorni di castronerie ne sto sentendo a bizzeffe. Buon voto a tutti.