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Apologia di un assassino e le colpe dalla stampa

Riflessioni e considerazioni di varia umanità sorseggiando il caffè della domenca

trentarighe disegnoNon se ne sentiva la mancanza, a dire il vero. Ma tant’è… Solo in Italia, che non è un Paese serio (per una volta tanto, aveva ragione Massimo D’Alema…), un assassino può godere di un ufficio stampa che illumina il colto e l’inclita sulle uscite del dottor Rudy Guede dal carcere, dove sta scontando la pena a 16 anni di reclusione per essere stato riconosciuto colpevole nei tre previsti gradi di giudizio dell’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher. Questa è la verità emersa nei processi: il resto sono chiacchiere. Le speranze di revisione del processo sono legittime, ma basta così. Per favore, se questo signore gode di permessi premio (previsti dalla vigente normativa), non interessa proprio a nessuno che vada a cena di là o di qua o utilizzi il tempo trascorso fuori dal carcere per fare altro. O almeno, per correttezza, il solerte ufficio stampa abbia la compiacenza di comunicarlo direttamente alla famiglia della povera Mez: una ragazza che da tempo non ha più la possibilità di andare a mangiare qualcosa fuori con gli amici, né di laurearsi, né di sposarsi…  E non la avrà mai più.

In uno Stato di diritto, le sentenze si rispettano. Punto. Ci sono gli strumenti legali per ottenere una revisione della sentenza e gli avvocati di Guede li stanno utilizzando, tanto che il 20 dicembre se ne occuperà la Corte d’Appello di Firenze. Per ora e fino a quando non ci saranno pronunciamenti contrari, il dottore in questione è un assassino che sta scontando la sua pena. Peraltro ridotta visto che i legali all’epoca del primo dibattimento chiesero e ottennero il rito abbreviato che garantisce, in caso di condanna, uno sconto (e che si utilizza nella stragrande maggioranza dei casi quando la situazione processuale è molto compromessa…). L’apologia di un assassino è decisamente insopportabile.

C’è poi un altro aspetto, ben illustrato qualche giorno fa da Giuseppe Castellini, direttore del Corriere Nazionale, che potrebbe sfociare in una incredibile verità giudiziale: Meredith Kercher si è seviziata e uccisa da sola. O è morta di freddo (ma qualcuno poi dovrebbe spiegare quelle 27 lesioni complessive sul corpo della povera ragazza…). La situazione, in breve, è questa: Rudy Guede è stato condannato a 16 anni per concorso nell’omicidio di Meredith Kercher. “Di certo – argomenta Castellini – nella villetta erano almeno in due (Rudy e Amanda) e probabilmente in tre (se ci aggiungiamo Sollecito, probabilmente presente). Ma uno (Rudy) dice che a uccidere non è stato lui e non ha mai accusato esplicitamente Amanda e Raffaele (ha raccontato di presenze somiglianti ai due, ma non ha mai puntato il dito in maniera chiara) e questi ultimi negano proprio di essere stati presenti, anche se – almeno di certo Amanda – smentiti dalla sentenza della Cassazione che pure li ha assolti. Una quadro confuso che, se la revisione del processo di Rudy sarà accordata, potrebbe in potenza portare anche alla sua assoluzione, arrivando quindi alla conclusione implicita che la povera Meredith si è uccisa da sola”.  

Rudy Guede

Rudy Guede all’epoca del processo

È forse per evitare uno scenario del genere – conclude il valente collega di origini tarquiniesi – che la famiglia di Meredith, attraverso il suo legale Francesco Maresca (che sarà presente all’udienza in cui si deciderà sull’ammissibilità della richiesta) è contraria alla richiesta avanzata da Rudy Guede. Che intanto solleva l’indignazione dei giornali inglesi alla vista delle foto della cena con gli amici, in un ristorante, durante uno dei permessi di uscita di cui ha goduto”. E questo è l’ultimo aspetto sul quale vale la pena spendere due parole: in Inghilterra sono allibiti di fronte ad un assassino (finora la verità è questa) che, mentre sconta la pena, ha la possibilità di andarsene al ristorante. E molto probabilmente sono anche allibiti di fronte al fatto che si dia così tanta pubblicità ad un episodio del genere. Che, invece, proprio per rispetto di chi non c’è più, dovrebbe restare nell’ambito delle faccende privatissime e non meritevoli di cotanta enfasi. Ma questo non c’entra con la permissiva legislazione italiana: qui c’entra le deontologia di una professione (quella giornalistica) svilita e calpestata ogni giorno.

Buona domenica.

 

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