“Nessun vero rivoluzionario muore invano”. Chissà quando l’aveva pronunciata Fidel Castro, scomparso ieri a 90 anni, ma non ha molta importanza per quelli che, come chi scrive, a 18 anni e anche meno contestavano l’imperialismo americano che andava a portare morte e distruzione nel lontano e sconosciuto Vietnam. Perché non c’è bisogno di essere comunisti per ambire a cambiare il mondo. Sì, insomma, ad essere in qualche modo amanti e sostenitori della rivoluzione. E poi c’era la figura di Che Guevara, indissolubilmente legata al leader cubano, ad affascinare le menti di giovanotti e giovanotte: Fidel (avvocato) e il Che (medico) uniti da una straordinaria voglia di rivoltare come un calzino ogni lembo di terra nel quale andavano a parare. Due tipi così strani in grado con un manipolo di meno di mille guerriglieri di mettere fine al regime corrotto e mafioso di Batista nella più grande delle isole caraibiche.
L’ultimo rivoluzionario del ventesimo secolo o un dittatore sanguinario? Entrambi, a guardar bene. Le due facce della stessa medaglia. Non ebbe scrupoli a fermare con ogni mezzo gli oppositori o semplicemente chi non era abbastanza rivoluzionario, ma dovette anche accettare che il Che qualche anno dopo la conquista del potere a Cuba se ne andasse a caccia di altri popoli da convertire, reputando non sufficientemente marxista il regime di Fidel. Contraddizioni di una vita vissuta pericolosamente, ma almeno dal suo punto di vista in modo coerente con gli ideali che ha portato avanti sino all’ultimo respiro. Quando il fratello Raul (che ha annunciato la morte del leader e la proclamazione di 9 giorni di lutto nazionale) annunciò nel 2014 l’accordo con gli Stati Uniti, lui non appena ne ebbe la possibilità lo criticò anche aspramente. Ma ormai la malattia lo aveva debilitato e di fatto il potere non era più nelle sue mani.
Va però detto che, con solido realismo, quando cessarono gli aiuti dell’Unione Sovietica (a proposito, fu acerrimo nemico della perestrojka di Gorbaciov), per tenere in piedi l’economia della sua Cuba dovette accettare che diventasse il turismo il principale settore economico. Spesso anche di natura sessuale, ma non c’erano molte soluzioni. D’accordo, il Venezuela di Chavez faceva la sua parte, ma non bastavano i petrodollari venezuelani a mantenere funzionante un sistema di solidarietà sociale (scuole e soprattutto ospedali) invidiato in tutto il Sud America che in larga misura lo aveva eletto suo eroe e paladino. Fidel è stato questo e molto altro: un mito per molti, un pazzo visionario e sanguinario per altri. Soprattutto gli esuli cubani che ieri hanno festeggiato il tutto il mondo la sua scomparsa.
Saranno il tempo e la storia a dare giudizi meno legati all’ideologia. Intanto per i diciottenni di cui sopra, per molti anni fu l’affascinante personaggio che aveva tenuto in scacco una potenza come gli Stati Uniti, anche quando affermava sbagliando che “il crollo del socialismo in alcuni Paesi non significa che abbia fallito: ha perso una battaglia”. Non è così, per fortuna. Infine, un’immagine che è rimasta indelebile: l’arrivo a Cuba dell’anziano e già malato Giovanni Paolo II che, quasi a sancire un momento storico, chiede a Castro che ora è. E che poi si mette sotto braccio all’ateo e al marxista per avanzare con meno fatica. I grandi uomini sanno capire che basta un gesto per conquistare la fiducia degli altri.
Buona domenica.