Spazio all’interno delle celle ridotto ai minimi termini, sovraffollamento, abusi da parte della polizia penitenziaria e degli stessi detenuti più forti su quelli più deboli. Sono tante le criticità che affliggono il microcosmo degli istituti di pena italiani. Oltre alle sopraelencate, vi è anche quel diritto alla salute, quello sancito dall’articolo 32 della Costituzione italiana che, a volte, sembra essere assente.
L’ultimo caso, come riporta il sito L’ultima ribattuta, è quello di Stefano Frignani, un detenuto in gravi condizioni di salute della casa circondariale di Mammagialla.
Una via crucis, fisica e tra le pieghe della burocrazia, iniziata il 20 novembre delle scorso anno quando l’avvocato di Frignani, Alessandro Cacciotti, scrive al magistrato di sorveglianza di Viterbo per denunciare le precarie condizioni di salute del suo assistito, affetto da una grave forma di parodontopatia. La patologia, riscontrata dagli stessi medici del penitenziario, ha causato un “severo riassorbimento osseo di tipo orizzontale e conseguente perdita dell’anatomia che determina l’appiattimento della cresta ossea”, che ha compromesso le funzioni della bocca e dell’apparato digerente, causandogli gravi difficoltà nella masticazione e nel parlare. Unica cura: un intervento urgente di chirurgia maxillo-facciale.
L’avvocato fa richiesta al magistrato di fornirgli le opportune indicazioni per permettere al detenuto di ricevere le cure necessarie nella struttura ritenuta più idonea, ma la sua rimane una lettera senza risposta. Passano i mesi, quattro per la precisione, le condizioni di Frignani peggiorano e le cure richieste continuano a non arrivare.
L’avvocato Cacciotti scrive allora un’altra email all’ufficio del magistrato e, questa volta, anche alla direzione sanitaria del carcere e a Stefano Anastasia, il Garante per i detenuti della Regione Lazio, cui spetta per legge il compito di “vigilare affinché l’esecuzione della custodia delle persone detenute in carcere e degli internati sia conforme a principi e norme nazionali ed internazionali” e intervenire qualora fossero riscontrate criticità che richiedano un immediato intervento.
“Si chiede urgentemente – scrive l’avvocato – di provvedere a porre in essere tutte le attività necessarie per la salvaguardia della salute di Stefano Frignani”. Nessuna risposta, anche in questo caso, e il quadro clinico del detenuto continua nel frattempo ad aggravarsi, come testimoniato da ulteriori esami medici effettuati.
La svolta di questa vicenda arriva pochi giorni fa quando, dopo ulteriori richieste inviate dall’avvocato agli organi competenti tra cui il Ministero della Sanità, la direzione sanitaria del carcere certifica la gravi condizioni di Stefano Frignani e lo inserisce in una lista di attesa per essere finalmente operato. Due operazioni, una per un polipo alla gola, l’altra patologia di cui è affetto il carcerato, e un’altra per la maxillo-facciale, da effettuarsi all’Umberto I e al George Eastman di Roma, le uniche strutture sanitarie autorizzate ad accogliere e operare i detenuti.
Ma qui sorgono ulteriori problemi. La lista d’attesa potrebbe durare anche anni e, qualora si sbloccasse e Frignani fosse chiamato per le operazioni, avrebbe bisogno di un piantonamento 24 ore su 24 da parte della polizia penitenziaria. Quattro agenti per controllarlo a turno, uno ogni 6 ore, durante l’intervento e il ricovero. Ma se quel giorno non fosse disponibile il servizio di piantone, anche se mancasse solo un agente, l’operazione salterebbe e sarebbe rinviata a data da destinarsi. E allora ricomincerebbe tutto da capo.