Pecorino romano: e guerra fu. Proprio così, per chi non lo sapesse ancora, c’è una vera e propria rappresaglia tra Lazio e Sardegna, sulle forme del saporito formaggio. Tutto ebbe inizio vent’anni fa quando si estese il marchio di tutela agli allevamenti sardi, da quel momento sono cominciati problemi per le aziende laziali. Oggi Coldiretti Lazio sta cercando di salvaguardare un prodotto tipico della regione e i produttori, particolarmente presenti nel territorio viterbese, ed è proprio dal fronte della Coldiretti che arrivano notizie positive riguardo il sequestro di alcune forme di formaggio nei giorni scorsi: c’è stato il dissequestro dei prodotti.
“Abbiamo vinto una battaglia, ma la guerra è appena iniziata”, sostiene David Granieri presidente regionale dell’associazione quando ha saputo della notizia del dissequestro delle forme di formaggio che recavano in etichetta la scritta “romano”. Facciamo ordine, il sequestro risale allo scorso 10 ottobre. I carabinieri del Nac, Nucleo anti contraffazione, ritirarono dal mercato della capitale 500 caciotte (per un totale di oltre 10 quintal)i prodotte dal caseificio Formaggi Boccea perché l’uso dell’aggettivo “romano” avrebbe pregiudicato il mercato e le vendite del pecorino romano dop. Immediato il ricorso presentato da Emanuele Marella, amministratore unico del caseificio, con il sostegno e la condivisione dell’assessore all’agricoltura del Lazio Carlo Hausmann e della federazione regionale della Coldiretti. A quanto pare, quindi, le tesi di Marella sono state accolte dall’Icqrs – Ispettorato controllo e repressione frodi del Mipaaf – che ha disposto la restituzione a Marella sia del formaggio che delle etichette. Ma la guerra del pecorino promossa da Coldiretti a tutela dei produttori laziali è solo agli inizi.
Come ormai è risaputo il grosso della produzione del pecorino romano dop si fa in Sardegna, dove ha sede anche il Consorzio di Tutela del pregiato formaggio. Roma e Viterbo si accontentano delle briciole, cioè di appena il 3% del mercato, nonostante il sistema del latte ovino laziale sia costituito da 3.000 allevamenti con un patrimonio di 750mila capi e 359 imprese di trasformazione, di cui però soltanto 3 accreditate a produrre pecorino romano dop. Intanto “il prossimo 4 novembre – anticipa Aldo Mattia, direttore Coldiretti Lazio – decideremo in che forme e con quali modalità proseguire la battaglia sindacale a difesa dei produttori romani a nostro avviso penalizzati dalle politiche commerciali del Consorzio di Tutela”. La strategia della Coldiretti, condivisa nelle assemblee tenutesi nei giorni scorsi tra Roma e Viterbo con i pastori e con i trasformatori, punta ad ottenere un duplice risultato. “Intanto siamo in attesa che il ministero istituisca, come da nostra richiesta, la nuova dop del cacio romano. Ma è chiaro che il Lazio non rinuncerà mai – conclude Granieri – alla qualifica del pecorino romano, perché ci appartiene per storia e per evidenti ragioni geografiche. Ecco perché chiederemo al Consorzio di Tutela di istituire un’apposita etichetta che, nell’ambito della filiera del pecorino, possa nettamente caratterizzare sul mercato il prodotto laziale, promuovendone la distintività”.
La battaglia dunque sembra svolgersi a colpi di etichetta per garantire ai produttori laziali la giusta valorizzazione del pecorino romano, intanto le fila della compagine del Lazio si fortificano sempre di più, è di pochi giorni fa infatti la notizia che i sindaci di Nepi, Castel Sant’ Elia, Canino, Grotte di Castro, Ischia di Castro e Celleno, hanno sottoscritto un atto sull’argomento.
I Comuni hanno approvato all’unanimità, con delibera di Consiglio e/o Giunta, un atto di indirizzo in merito alle problematiche emerse nell’ambito della produzione del pecorino romano dop per chiedere al Mipaaf, la revisione dei criteri di contingentamento del prodotto ed alla Regione Lazio, per tramite dell’assessore Hausmann, di farsi promotrice di una iniziativa volta a tutelare tutti i soggetti della filiera casearia, con l’adozione di un provvedimento teso a rendere obbligatoria l’attuale facoltà concessa dal disciplinare della dop di indicare in etichetta la provenienza del latte e del luogo di trasformazione. Tanto è, tra l’altro, in linea con lo schema di decreto che introdurrà l’indicazione obbligatoria dell’origine per i prodotti lattiero-caseari dal prossimo 1 gennaio.