Eccola lì, Gloria che si staglia verso il cielo. Immobile e pure affascinante. E’ lo sfondo ideale per l’appuntamento con i Racconti sotto la Macchina: storie di Santa Rosa e del Trasporto narrate dai protagonisti. E’ la consigliera comunale Maria Rita De Alexandris, delegata ai rapporti con il Sodalizio, a fare da padrona di casa: “Sono loro la vera forza. Il Sodalizio lavora 365 l’anno sempre con entusiasmo e passione. Grazie di cuore perché siete il motore del Trasporto e della festa”, afferma con vigore a testimonianza di un affetto e di una vicinanza palpabili. Accanto a lei il capo dei cavalieri della patrona, Sandro Rossi che ribadisce un concetto più volte espresso: “Ma facchini non sono soltanto quelli che indossano la divisa: facchini sono tutti coloro che amano Santa Rosa e Viterbo”.
Silvio Cappelli, appassionato collezionista e cultore della viterbesità, spinge per la realizzazione del Museo delle Macchine: “Conservo la fascia del servizio d’ordine del 1967 e anche frammenti del traliccio della Macchina realizzata da Paccosi: quando si farà il museo, andranno lì”. Poi un appello: “Nel 2017 saranno 50 anni dalla fermata e quindi immagino che qualcosa bisogna fare per ricordare quell’episodio…”. Mecarini annuisce, ma non si sbilancia.
Lorenzo Celestini è un pezzo importante della storia del Sodalizio: prima facchino, poi capo, poi presidente e soprattutto era il figlio del grande Nello. “Non ho vissuto la Macchina da bambino – attacca -. Nonostante mio padre, non ho ricordi precisi. Nel 1966 il mio papà era ricoverato alla Salus perché era stato operato di ernia: interminabile la fila di facchini che vennero a salutarlo in clinica perché lui quell’anno dovette dare forfait. Nel 1972 diventai addetto al trasporto: portavo un estintore. L’anno dopo, per caso, andai a vedere le prove di portata: il vocione di mio padre mi costrinse a fare la prova. Feci il percorso, ma la cosa apparentemente finì lì. Qualche tempo dopo, mentre facevo il militare a Viterbo, tornai a casa e notai un’atmosfera strana: fu mia madre a dirmi che Peppe Zucchi voleva mettermi sotto. Percepivo che c’era stata baruffa tra i miei genitori… Mio padre, quando arrivò, mi spiegò soltanto che mancava una misura e che quindi dovevo andare a fare il facchino. Avevo 21 anni ed ero spalletta sinistra”. Poi un ricordo che fa venire la pelle d’oca: “All’angolo di Corso Italia con via della Volta Buia c’era uno sperone di peperino. All’ordine ‘sotto le teste’, eseguii ma il braccio mi rimase fuori. Non so chi, forse dall’alto, mi gridò di tirarlo dentro. Lo feci e dopo un secondo la Macchina andò a strusciare contro quello sperone…”
Angelo Russo è l’ideatore di Sinfonia d’archi, durata 7 anni, dal ’91 al ’98. “Quella Macchina, credetemi, è nata da un sogno in cui vedevo dei fori che poi trasformai in archi. Ho rivisto la mia macchina dopo 15 anni ed era rovinatissima: l’hanno rimessa a posto il facchino Veraldi con altri volontari. Ecco perché bisogna fare il museo. Non è facile, ma noi ci crediamo”.