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“Evviva Santarosa”, storia di un amore grande

"Etnografia di un patrimonio dell'umanità": il volume di Antonio Riccio

Il professor Antonio Riccio

Il professor Antonio Riccio

Che c’è di più calzante della Macchina di Santa Rosa e del Trasporto ad essa collegato per descrivere l’identità del popolo viterbese? Domanda retorica e risposta scontata: nulla. Le leggende e le storie, i racconti e le voci, le immagini e le sensazioni sono l’anima del bel volume “Evviva Santarosa – Etnografia di un patrimonio dell’umanità” scritto da Antonio Riccio, antropologo culturale di solide radici viterbesi che ha lavorato a lungo nella fase di approntamento della candidatura a patrimonio Unesco, poi culminata nella proclamazione ufficiale del novembre 2013. Proprio quell’esperienza e la possibilità di vivere e ascoltare i facchini sono state il motore che hanno indotto il docente (insegna antropologia culturale presso la Facoltà di Scienze Sociali alla Pontificia Università San Tommaso d’Aquino – Angelicum a Roma) a cimentarsi con una “storia delle storie” che “tutti noi dovremmo possedere e leggere” sentenzia Massimo Mecarini, presidente del Sodalizio facchini.

Il volume "Evviva Santarosa - Etnografia di un patrimonio dell'umanità"

Il volume “Evviva Santarosa – Etnografia di un patrimonio dell’umanità”

Il volume prova a spiegare perché al Trasporto sia stato conferito il titolo di patrimonio immateriale dell’umanità da parte dell’Unesco. “Il bene da valorizzare e salvaguardare – spiega Riccio – non è la Macchina, che è solo uno strumento, peraltro mutevole nel corso degli anni, ma quel complesso di tradizioni e identità che permette di dare un senso compiuto alla città che la ospita”. Da questa definizione comincia un percorso nel quale i protagonisti sono non soltanto gli ideatori e le istituzioni, ma soprattutto i facchini, nello stesso tempo “ruote e motore” di quel “campanile che cammina”, secondo l’azzeccata definizione di Orio Vergani. “Immagine sicuramente evocativa – contesta l’autore – ma che non condivido in quanto, a mio avviso, la Macchina quando è ferma è un sito, un monumento. Ma in movimento è un’altra cosa: è viva, si muove, ondeggia, suscita emozioni, spesso commuove. E’ vero, sotto ci sono loro, gli ‘uomini di forza’, ma ha ragione da vendere il capofacchino Sandro Rossi quando afferma che la sera del 3 settembre tutti i viterbesi sono facchini”. E forse non solo quel giorno… La conclusione è che “l’insieme degli eventi legati al culto di Santa Rosa è qualcosa che va al di là della viterbesità e dell’identità locale. E tutto questo giustifica l’attribuzione sancita dall’Unesco”.

L'incontro nella Chiesa della Pace

L’incontro nella Chiesa della Pace

“Evviva Santarosa” si articola in tre parti fondamentali: fare, portare e aspettare la Macchina. Le interviste e le dichiarazioni dei protagonisti diventano il “fil rouge” di un cammino che permette di scoprire che cosa c’è davvero “dentro”. Si parte dalla costruzione, che naturalmente è preceduta dalla fase di ideazione. “La Macchina è sempre un’opera visionaria – sintetizza Antonio Riccio – caratterizzata da tutti i simboli della città: fede, forza, orgoglio, coraggio. Ed è visionario anche trasportarla da parte di quegli uomini così vigorosi”. Ma la forza non è solo quella dei muscoli: “Certo che il facchino è forte per definizione, ma non è tutto ‘merito’ suo: quando faticano sotto, la forza arriva dalla città, dalla famiglia, dalla tradizione, dal quartiere, dal Sodalizio, dal ciuffo che suda al fianco”.

Lo stendardo del Sodalizio facchini

Lo stendardo del Sodalizio facchini

“E’ vero – racconta nel libro Claudio, un ex facchino – che la Macchina pesa, ma sapessi quanto pesa non poter indossare più quella divisa…”. Che diventa una seconda pelle, il vessillo identitario di chi in quei momenti sente la responsabilità di rappresentare una comunità intera. “Essere facchino è un atto di fede” sintetizza Massimo Mecarini, ma Riccio amplia ancora di più la definizione: “Al di là delle convinzioni religiose, per me si tratta di una scelta di vita, prima che di fede”. E a questo punto entra in gioco un’altra componente decisiva: il sostegno e l’aiuto tra facchini. “Noi antropologi la definiamo etica della reciprocità: si lavora insieme, ci si incita a vicenda, si porta un po’ del peso dell’altro quando questi non ce la fa”. Un messaggio di coesione che negli altri 364 giorni dell’anno talvolta si dimentica perché “il Trasporto richiede cooperazione e unità, non parole”.

La Macchina con Rosina in cima che spunta per prima tra i palazzi più alti suscita emozioni e commozione: provoca la pelle d’oca. “E’ uno strumento di meraviglia – racconta la figlia di Claudio – e io mi considero davvero fortunata per aver avuto la possibilità di averla vissuta da sempre”. Evviva Santa Rosa.

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