Succede, a volte, che i grandi avvenimenti della storia oscurino gli eventi minori, prendi ad esempio la seconda guerra mondiale. Di quella tragica pagina si conoscono le dinamiche più importanti che l’hanno scatenata, portata avanti per anni, dal 1939 al 1945, e poi conclusa. Ma ci sono frammenti di vita in quella grande storia che riguardano ogni persona che l’ha vissuta e che a causa sua ha trovato la morte. Gli eventi più piccoli, come le violenze perpetuate dai soldati tedeschi nel viterbese durante la loro occupazione nell’anno a cavallo tra l’estate del ’43 e il giugno del ’44, hanno un significato e un impatto davvero importante per i luoghi nei quali sono accaduti.
Il giornalista Beniamino Mechelli ha voluto dare evidenza alle storie di guerra di Canepina con il volume “Per brutale malvagità. Atrocità nazifasciste a Canepina tra il settembre 1943 e il giugno 1944”. Pubblicazione che non è passata inosservata alle pagine della rivista L’Espresso, dalla cui redazione proviene Franco Giustolisi, il giornalista che ha scoperto, nel 1994, “l’Armadio della vergogna”.
Per anni le tragiche mini-storie della Tuscia sono state tramandate oralmente da chi le ha vissute, anche in modo marginale, o le ha sentite raccontare. Ma, quelle narrazioni oggi sono finalmente supportate da documenti rimasti occultati fino a qualche anno fa. Si tratta dei 695 faldoni contenuti nell’”Armadio della Vergona”, un archivio dei crimini commessi dai nazisti e fascisti in Italia durante la guerra, così chiamato dal giornalista de L’Espresso Franco Giustolisi che l’ha riportato alla luce. Tra i fascicoli, il 195/B/96 Int contiene tutti i reati ai danni degli abitanti del viterbese per “violenza, omicidio, saccheggio, incendio, distruzione e grave danneggiamento” come si legge sulla prima pagina.
I molti comuni della Tuscia coinvolti nelle stragi hanno così l’occasione di ricostruire in modo più dettagliato le loro storie di guerra: da febbraio di quest’anno infatti la Camera dei deputati ha messo a disposizione di tutti gli interessati le pagine dell’Armadio, dopo le indagini della commissione parlamentare istituita per fare luce sulle cause dell’occultamento e dei responsabili delle stragi nazifasciste.
Con lo scopo di riportare alla memoria tutti i tragici avvenimenti, tra il ’43 e il ’44 accaduti nel Viterbese, si sta pensando ad un progetto, con il coinvolgimento dell’Università della Tuscia, che ricostruisca e cataloghi i crimini commessi paese per paese.
Il giornalista Beniamino Mechelli, studiando proprio il fascicolo 195/B/96 Int, ha approfondito le stragi nazifasciste nel libro “Per brutale malvagità”, presentato lo scorso giugno: “Il titolo di questo breve lavoro – scrive il giornalista – mi è stato ‘suggerito’ dai carabinieri che, nei loro rapporti sulle atrocità compiute dai nazifascisti alla voce ‘causa sintetica del fatto’, scrivono: ‘Per brutale malvagità’”. Mechelli racconta come i soldati abbiano spezzato la vita di numerosi canepinesi: Domenico Manili di 8 anni ucciso da una bomba a mano, Maria Pampana e Pietro Ercoli travolti da un camion militare, Mariano Paparozzi ucciso a colpi di pugnale e Giove Benedetti da una raffica di mitra.
Durante la guerra la Tuscia era diventata una sorta di base strategica per i tedeschi, che occupando territori vi agivano indisturbati commettendo i reati più osceni. A Civitella d’Agliano i documenti riportano che Anatolio del Medico e suo figlio 20enne vennero uccisi dopo essergli state strappate a carne viva le unghie dei piedi e gli occhi e poi sepolti a tesa in giù con i piedi fuori dalla terra come monito per i passanti.
A Viterbo una lapide incastonata in una pietra nei pressi di piazzale Gramsci ricorda l’uccisione violenta di due uomini, Giacomo Pastrelli e Oreste Telli, e una donna rimasta sconosciuta. Forse le pagine del fascicolo 195/B/96 Int potranno restituire finalmente il nome, il volto e la storia dell’innocente vittima viterbese.
Le violenze dei nazifascisti sono documentate anche a Blera dove si consumò una vera e propria strage. Sette uomini, tra cui un carabiniere, persero la vita in un raid tedesco. I soldati li uccisero tutti con raffiche di mitra e bombe a mano mentre erano nascosti in un rifugio. Strage, con dinamiche simili, a Sutri: le SS uccisero 17 avieri saldi fucilandoli perché si rifiutarono di arruolarsi nella Repubblica sociale di Mussolini.