“I livelli di arsenico fuori i limiti di legge in numerosi comuni della Tuscia dimostrano che la regione Lazio non è stata in grado di affrontare il problema”. Silvia Blasi, consigliere regionale del Movimento Cinquestelle, mette il dito nella piaga in una questione che Viterbopost, nel suo piccolo e nel suo modesto, aveva già avuto modo di affrontare non molto tempo fa: il sistema dei dearsenificatori, benché assai costoso sia in fase realizzativa che (ancor di più) in quella manutentiva, non risolve affatto il problema degli elevati valori del veleno nell’acqua. La strada da seguire doveva essere un’altra, forse addirittura meno onerosa per le casse pubbliche, come dimostra il progetto acquedottistico presentato anni fa dall’Ato viterbese e mai preso in considerazione perché – si disse all’epoca – costava molto. Si parlava di una cifra oscillante tra i 25 e i 30 milioni di euro per un’opera che, utilizzando le acque del Reatino e di altre falde acquifere pure, prevedeva la semplice miscelazione per far scendere la concentrazione di arsenico. Il metodo più antico e più efficace che, ad esempio, viene utilizzato a Gradoli (comune dell’Alta Tuscia orgogliosamente rimasto fuori da Talete) dove si mescolano le acque “locali” con quelle del Fiora fornendo così (sempre) un prodotto che si può tranquillamente definire potabile.
Acqua, perché c’è ancora tanto arsenico?
Dopo la richiesta di marzo, Silvia Blasi (5Stelle) interroga nuovamente Zingaretti
Cosa che non avviene in diverse altre zone della provincia con conseguenti ordinanze di non potabilità mentre i cittadini continuano “a pagare per intero le bollette”, scrive ancora la Blasi che, dopo un’interrogazione presentata a marzo e rimasta senza risposta, si è armata di carta e penna per chiedere nuovamente a Nick Zingaretti “quali siano le problematiche tecniche o progettuali alla base del malfunzionamento delle dotazioni”. Gentile consigliere, la risposta è molto semplice: i dearsenificatori impiantati nella Tuscia per far fronte all’emergenza (che durava da anni senza che qualcuno si fosse degnato di occuparsene seriamente: si parla della giunta Polverini, tanto per capirsi) sono apparecchiature assai delicate e per funzionare bene hanno bisogno di manutenzione continua che si concretizza tramite una costante sostituzione dei filtri. Che, guarda caso, sono molto costosi e dunque si fa di tutto per procrastinarne la messa in opera. Vale la pena ricordare che a fronte di quei 30 milioni di euro del progetto Ato, se ne sono spesi già 37 per gli impianti e altri 15 nel prossimo triennio per la manutenzione: il che porta il totale a 52 cucuzzoni. Una somma enorme destinata ad aumentare perché gli interventi devono essere continui e soprattutto non risolvono alla radice il problema. Tutte questioni che non si sarebbero poste con la rete di acquedotti che, a parere unanime dei tecnici, presenta costi di esercizio notevolmente più bassi.
“Noi del M5S siamo accanto ai sindaci dei comuni che non aderiscono a Talete spa, considerando legittima la loro posizione visto che la Regione Lazio sta ignorando completamente l’attuazione normativa della Legge 5/2014 e della norma statale dettata dal decreto Sblocca Italia. Non si può acconsentire al ricatto di cedere le infrastrutture idriche e gli impianti di dearsenificazione ad un gestore che sta aprendo ai privati, contrariamente alle indicazioni di preferenza verso la pubblicità del gestore, espresse da quella legge”, aggiunge Silvia Blasi che definisce ancora “ricattatoria e discriminante” questa modo di agire della Regione che “non va nella direzione nè di sostenere in maniera ugualitaria le spese di manutenzione di tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro adesione a Talete, nè di tutelare la loro salute. I comuni non possono aumentare la tariffa del servizio idrico ma senza le risorse della Regione, come faranno a sostenere gli elevati costi di manutenzione del dearsenificatori? C’è il rischio che funzionino sempre peggio”.
“La regione – conclude l’esponente pentastellata – con la delibera di febbraio 2016 ha erogato i fondi alla Talete senza passare per l’Ato, discriminando e ledendo, di fatto, i comuni che hanno deciso di non entrare in Talete e quindi vorrei sapere da Panunzi come mai, fino a tre anni fa, i fondi potevano essere forniti direttamente ai comuni quando si è trattato di realizzare gli impianti ed ora per la loro gestione no?”.
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