“Viterbo non è una destinazione turistica”. Parole e musica di Silvio Franco, docente di marketing all’Università della Tuscia. Madonnasanta… E come mai questa dichiarazione semi-apocalittica che spazza mesi di buone notizie proprio nel settore del turismo? Conviene andare per gradi per capire. Innanzitutto, l’occasione: il terzo incontro di presentazione del documento di Masterplan, ieri mattina in Sala Regia. Cioè quel progetto, portato avanti con determinazione dall’assessore Raffaela Saraconi, che si propone l’ambiziosissimo obiettivo di provare a ridisegnare la Viterbo del futuro. Un panorama vasto al quale contribuisce il mondo accademico con l’Università La Sapienza e il docente di Urbanistica Orazio Carpenzano, responsabile scientifico dell’intrapresa. Insieme a lui il sociologo Francesco Mattioli e gli architetti Enzo Bentivoglio e Alfredo Passeri. Ma ci sono anche esponenti dell’Università della Tuscia come Elisabetta Cristallini e, appunto, il prof di cui sopra. A tutti è affidato il compito di relazionare su un argomento specifico: Bentivoglio si occupa delle scuderie del Bramante, Cristallini di arte contemporanea negli spazi pubblici, Mattioli di problemi identitari e prospettive di sviluppo della Viterbo del XXI secolo, Passeri di contributi per le regole urbane. E Franco? Il tema stuzzica subito la curiosità: Viterbo è una destinazione turistica?
Prima di rispondere all’interrogativo appena proposto, è bene riavvolgere il nastro e partire dalla lectio del professor Mattioli che assesta i primi colpi alla credibilità turistica di Viterbo, a cominciare proprio dalla parte più nobile, cioè il centro storico “che – sottolinea il prof – ha perso attrazione e che oggi spesso continua a vivere solo per la presenza di extracomunitari e che si rianima soltanto in occasione di riti collettivi, come manifestazioni, festival, mercatini e naturalmente S. Rosa”. E allora che si deve fare per farlo risorgere? “Serve una svolta culturale – scaadisce Mattioli – che deve cominciare dagli stessi viterbesi. La prima domanda è: vogliono davvero i cittadini valorizzare il loro centro? E la risposta oggi non può che essere no”. E ancora: “Serve una strategia unitaria che metta insieme tutti, magari cominciando ad individuare aree ‘oil free’ nelle quali si possa accedere solo in bici o a piedi”. Boato in sala: ma forse basterebbe solo chiudere al traffico il centro, fregandosene delle proteste della varie lobby imperanti. Conclusione di Mattioli: “Va cambiato il punto di vista, come accade nell’Attimo fuggente. E bisogna soprattutto aver voglia di rischiare”.
E questo è solo l’assaggio, perché è Silvio Franco a mettere il dito nella piaga, partendo proprio dalla definizione di destinazione turistica, cioè “un territorio in cui sono presenti attrattive in grado di soddisfare i bisogni di un determinato segmento di domanda turistica”, quindi risorse, infrastrutture e servizi. “Viterbo – aggiunge il docente di Unitus – non risponde a questi requisiti, mentre sia pure con diversi limiti il capoluogo della Tuscia resta un prodotto turistico”. Attraverso un’analisi condotta in collaborazione con Archeares, è stato sottoposto un questionario a 230 visitatori: non è un gran numero, ma permette di farsi un’idea abbastanza precisa. I risultati sono eloquenti: i turisti sono in generale di età compresa fra 40 e 60 anni e di cultura elevata; provengono soprattutto dal Centro e dal Nord; pochissimi sono stranieri (appena il 3%) e praticamente è del tutto assente il grande mercato dei tour operator. La stragrande maggioranza (4 su 5) arriva in auto, il resto in camper; ci resta pochissimo in città (il 60% una sola note) e chi opta per due o più pernottamenti (pochi), lo fa perché vuole visitare zone vicine (in primis Civita di Bagnoregio, poi il lago di Bolsena). Ma perché si sceglie Viterbo? Metà lo fa per la storia e metà perché una bella città. “Che è una definizione abbastanza vaga – chiosa il professor Franco – che, a seconda dei servizi offerti, può trasformarsi in un giudizio ottimo o pessimo”. Ultimo (preoccupante) dato: Google non inserisce Viterbo fra le prime 48 mete più visitate in Italia (in testa Roma, poi Venezia e Firenze) e non si trova traccia fra le prime 80 di Trip Advisor. La conclusione è che qui ci viene un insieme indistinto e quindi che Viterbo non è una destinazione turistica, anche se rimane un prodotto turistico. Con il seguente corollario: “I viterbesi – conclude il prof – vogliono che la loro città lo diventi? Se la risposta è sì, va individuato il segmento di riferimento (la storia, le terme, l’arte) e quindi bisogna investire sulle professionalità che gestiscono il prodotto e il relativo marketing”.
Il sindaco Leonardo Michelini è a pochi metri di distanza e replica a strettissimo giro di posta, cominciando da dati inconfutabili: “Nel 2015, 185mila presenze testimoniate dalla tassa di soggiorno: un dato in controtendenza forte sia rispetto al resto d’Italia, sia rispetto alle altre province del Lazio. E nei primi 4 mesi di quest’anno, viene segnalato un altro 20% in più. Questo dicono i numeri. Io sono ottimista perché Viterbo non è solo una città turistica, ma anche termale, d’arte, di enogastronomia, di paesaggio. Per me è importante che conservi la sua identità e la sua unicità: perché abbiamo beni ‘unici’ che nessuno mai potrà copiare”.
La discussione è aperta: se ne riparlerà dall’1 al 7 ottobre quando agli Almadiani è in programma un workshop che prevede anche tre conferenze. Intanto, buona estate. Turistica.