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L’Europa ci prova: via il rame dai campi

Entro il 2018 l'Eu (con l'Unitus) tenterà di eliminare i sali utilizzati in agricoltura

Sali di rame

Sali di rame

Mamma, cosa sono quelle piante blu? Che frutti fanno, i Puffi? No, figliolo, quello è un susino e quell’altro un ciliegio. Sono solo stati trattati col rame.
E questa è un po’ la storia. Quando l’occhio coglie tale buffa anomalia cromatica (le pupille dei grandi come quelle dei piccini) si può star certi che la causa è appunto il rame. Metallo pesante, per dirla in gergo, ciò nonostante concesso (il suo utilizzo) in agricoltura biologica. Nonché in agricoltura tradizionale. Che poi niente al mondo è più ridicolo del termine “agricoltura tradizionale”. Che racchiude gli ultimi 50 anni di pesticidi, veleni e schifezze varie. Dimenticando che la terra si coltiva da molto prima dell’arrivo del trattore e (soprattutto) della Monsanto. Dovrebbe piuttosto chiamarsi: pessima abitudine industriale.
Ma torniamo al blu. L’ultima sfida delle sfide, voluta se non direttamente imposta dall’Ue, è quella di eliminare anche il rame. Perché ok, una spruzzatina su un olivo è un discorso. Ma un’alluvione su una piantagione grande così è un altro. Dato che il metallo non entra nella pianta, magari, ma comunque percola nelle falde del suolo e crea inquinamento.
Perciò a Bruxelles hanno pensato bene che dal 2018 ci dovrà essere un’ulteriore riduzione dell’impiego dei “sali” di questo tipo per la difesa da patogeni (batteri e funghi). Ma finché si tratta di mettere uno stop è facile, basta parlarne e tirar giù due leggi. Il problema, come sempre, è invece trovare un rimedio al rimedio. Anche perché l’Italia (per scendere nello specifico) produce di brutto, ed esporta anche parecchio. E senza rame non è facile oggigiorno riuscire a presentare un qualcosa di decente. Perciò tutti giù a studiare. A pensare. A spremere le meningi in codesta direzione.
A tal proposito ecco il progetto Altr.Rame. Un lavoro di equipe iniziato un anno fa. Del quale vanno doverosamente citati tutti e sei i partner protagonisti: l’università della Tuscia tramite il Dafne, il centro di Laimburg di Bolzano, la fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige, e la Fondazione italiana per la ricerca in agricoltura biologica e biodinamica (Firab), il Crea Ing, e il Crea Pav. Tante sigle (qualcuna pure poco comprensibile), ed un solo obiettivo: trovare un antagonista naturale.

Il rame dato ai pomodori

Il rame dato ai pomodori

La combriccola si è riunita qualche giorno fa. Prima su sedie e poi su campo. Interessante la parte del dibattito legata agli estratti vegetali e agli oli essenziali; i quali, a concentrazioni particolarmente ridotte, si sono dimostrati particolarmente efficaci.
La strada è ancora lunga, ok. Ma i primi risultati sono incoraggianti. Dimostrano che un altro modo di vedere e fare le cose è possibile. Sarà possibile, quantomeno. Ecco.
E magari il primo passo collettivo da compiere, quello più semplice ma già di per sé rivoluzionario, sarebbe uno: fermarsi e riflettere. Se c’è una cosa infatti che è stata persa in agricoltura, è proprio l’osservazione. Che è cultura, conoscenza, prevenzione e sviluppo. Altro che rame.

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