È il 2014, e un tipo in un ufficio pubblico prende una cartellina in mano. La apre. La sfoglia. E schiaffeggiandosi la fronte esclama: “To’, nell’84 ci siamo dimenticati che scadeva un progetto pilota. E ora come facciamo?”. Il tempo di mettere in piedi una piccola riunione, e cioè il tempo di arrivare al 2016, e il progetto pilota viene chiuso. Conseguenze? Una venticinquina di persone, con disabilità motorie varie, rimangono a secco. Senza una lira (un euro). Senza molte spiegazioni. E questa è la storia. Nulla più.
Già, questa è la storia (che va letta col condizionale d’obbligo, perché le pratiche non sono state ancora visionate) di “Vita autonoma”. Un progetto sperimentale che appunto a ridosso degli ’80 voleva tirar fuori più gente possibile dagli istituti (su Viterbo leggi Villa immacolata). Continuare a supportarla, logico. E tentare, con un aiuto economico, di farla campare in maniera dignitosa. Che tradotto sarebbe poi: “Se lì dentro mi costi 2000, te ne do 1000 e stai a casa tua o dove preferisci”.
E la cosa per un po’ ha girato anche bene. Il quinquennio di prova (così si vocifera) è piaciuto, e si è perciò tirati dritti. Per trenta lunghi anni settanta disabili hanno sbarcato il lunario incassando un assegno mensile. Settecento euro circa. Centesimo più, centesimo meno. Poco importa.
Importante invece è il fatto che a partire dal 2014 qualcuno si è posto il problema. Caricando l’esborso totale sulla Asl. Che a sua volta avrebbe detto: “Al lato sanitario ci pensiamo noi, ok, ma anche i comuni facciano la loro parte”. Appello inutile. Poiché i comuni in seconda battuta hanno guardato alle Regioni, che hanno puntato gli occhi di nuovo sulle Asl, ed è iniziato il ballo del mattone dove tutti sono complici ma nessuno è colpevole. E così è arrivato maggio, questo maggio 2016, ed i rubinetti sono stati chiusi. Mandando in bestia, per non dire di peggio, quelle venti persone rimaste del gruppo.
Loro, sì proprio loro, l’altro giorno hanno anche occupato la “cittadella” Asl. Con una sorta di blitz. Una dimostrazione pratica del nervosismo diffuso e della situazione paradossale. È dovuta intervenire perfino la Digos, a calmare gli animi. E per completare il quadro va rimarcato che fuori, a fare il tifo, si potevano trovare trasversalmente la Dei (Emanuela Dei) e Casapound (forse solo un manifesto, ma c’era). Nel mezzo invece Usb, unico sindacato sul pezzo.
E proprio Usb, fondamentale nella costruzione dell’articolo, ha inviato in redazione una nota che pubblichiamo di seguito integralmente.
Siamo di fronte all’ennesimo taglio alle prestazioni sociali e assistenziali che colpisce direttamente chi ha più bisogno. Naturalmente si inizia dagli ultimi, dalle persone che difficilmente hanno la possibilità di potersi difendere. In questo caso, i disabili del progetto Vita Autonoma, ne sono un chiaro esempio. Questi inizialmente erano ricoverati in strutture sanitarie che, oltre a provvedere alle cure di cui avevano bisogno, fungevano da loro dimora. Poi sono stati dimessi e per oltre vent’anni al posto dell’assistenza abitativa e sanitaria, la Regione, attraverso la Asl, ha erogato un assegno di circa 700 euro al mese che permetteva loro di organizzare autonomamente la loro esistenza, non appoggiandosi più a strutture di lunga degenza.
Durante l’incontro avuto con i vertici Asl, ci è stato riferito che, al posto dell’assegno di 700 euro ,si attuerà a breve un Pai, un piano assistenziale individuale. Nonostante i vertici della Asl abbiano rassicurato sui tempi di attuazione, la realtà è che sono già due mesi che i disabili non percepiscono più questo assegno e allo stesso tempo non usufruiscono di nessun piano assistenziale. Inoltre c’è ancora confusione sulle competenze in quanto la Asl dovrebbe provvedere all’assistenza sanitaria mentre i Comuni all’assistenza sociale.
Alla luce dei continui tagli agli Enti locali e alla Sanità pubblica, ultimi quelli varati dall’ultima “legge di stabilità”, ci ritroviamo in una situazione già di per se drammatica con carenza di personale sanitario, di posti letto negli ospedali, pronti soccorso sempre più intasati e liste di attesa interminabili. Per non parlare, poi, dei servizi sociali dei Comuni. Se, pertanto, non c’è la volontà di occuparsi dei servizi di base per ogni cittadino, figuriamoci cosa significherebbe affrontare un progetto assistenziale ancora da costruire. E, comunque, resta il fatto che queste persone da due mesi non usufruiscono ne di assegno né di altre prestazioni assistenziali.
Ci chiediamo per quale motivo, invece di tagliare su stipendi di manager e dirigenti, su appalti e sprechi, si comincia sempre senza pietà dagli ultimi, togliendo anche il minimo per la sopravvivenza.
Usb Viterbo affiancherà le giuste rivendicazioni dei soggetti coinvolti in questa vicenda rendendosi disponibile ad avviare tutti i percorsi che si renderanno necessari in tutte le sedi opportune a partire dalla Regione Lazio che, a nostro giudizio, dovrebbe spiegare con quale coraggio si possono lasciare in mezzo alla strada queste persone.
Usb Viterbo