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La donna che lavora va aiutata di più

Signori (Confartigianato): "Va facilitata la realizzazione delle loro scelte professionali e di vita"

La donna che lavora va aiutata  nella realizzazione delle loro scelte professionali e di vita

La donna che lavora va aiutata nella realizzazione delle sue scelte professionali e di vita

La durata media di vita delle donne è in estensione continua da una generazione alla successiva. Chi oggi ha 30 anni ha compiuto solo un terzo della sua storia di vita, ha molti più anni da vivere rispetto al passato, ma molti meno per realizzare in pieno i propri obiettivi riproduttivi.
Questo perché tutte le tappe di transizione alla vita adulta sono slittate in avanti, ma l’età media della menopausa è rimasta pressoché ferma attorno ai 50 anni. Le biografie femminili hanno visto negli ultimi decenni un forte investimento nella formazione del capitale umano e sulla sua spendibilità nel mercato del lavoro. Sempre più donne proprio all’interno di Confartigianato, la nostra associazione datoriale, a livello nazionale, intorno  ai 30 anni sono capitani dell’azienda di famiglia, con risultati eccellenti, realizzandosi. Ma proprio adesso, verso la fatidica età dei trenta ed oltre, che si inizia quindi a formare una propria famiglia e progettare di avere un figlio, quindi in età meno giovani che in passato, per lo più appunto ben dopo i 30 anni.
L’età alla nascita del primogenito, evento che conclude definitivamente la transizione alla vita adulta e iniziale per la formazione della famiglia, per la prima volta nella storia del nostro Paese ha superato i 30 anni nel 2008 ed è oggi vicina ai 31. Di fatto, quindi, la fase  centrale della vita riproduttiva è concentrata nella fascia 30-34 anni, con possibilità di recupero dopo i 35 che espone però a forte rischio di rinuncia.
Oltre ad essersi ristretto, lo spazio strategico di entrata nella maternità è diventato sempre più congestionato per il concomitante intenso impegno in altri fronti e in particolare nella carriera professionale.
Ci troviamo così ad essere uno dei Paesi avanzati in cui si arriva più tardi alla decisione di avere un figlio ma anche, come ben noto, uno di quelli più carenti di strumenti per la conciliazione tra lavoro e famiglia. La conseguenza di tutto questo è che più facilmente ci si trova a rinunciare ad avere figli o a limitarsi ad un figlio solo.
Fino a qualche anno fa, tuttavia, la consistenza numerica delle trentenni era ampia e questo ha limitato la caduta del numero delle nascite nel Paese.
Stiamo però ora entrando in una nuova fase, in cui le potenziali madri sono esse stesse in riduzione perché provengono dalle generazioni nate dopo il 1985, quando la fecondità italiana è precipitata ai livelli tra i più bassi al mondo. Più precisamente la  fascia 30-34 anni, che contava oltre 2 milioni e 300 mila donne nel 2000,
è scesa oggi sotto 1 milione e  800 mila. Di fatto significa una perdita di oltre una donna su cinque. Viceversa è cresciuto il numero di donne nella fase conclusiva del periodo fertile. Si tratta di un processo anticipato da vari studi e ricerche ma che ora risulta pienamente in atto, mostrando anche come l’immigrazione non sia riuscita a compensarlo se non in parte limitata. L’Italia sta quindi scivolando in una spirale demografica negativa in cui i pochi figli del passato determinano una progressiva riduzione delle madri, vincolando così al ribasso le nascite di oggi e di domani.
Come uscire allora da questa trappola? Soprattutto togliendo le donne stesse dalla condizione di crescente costrizione nella quale si trovano e consentendo, in tempi meno tardivi e alla più alta espressione,

. Più tardiamo ad agire in questa direzione più pesanti saranno i costi futuri.

Stefano Signori

Presidente di Confartigianato Imprese Viterbo

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