Quanto è forte Carlo Verdone? Un sacco. Esordio boom per il Tuscia Film Festival con l’attore e regista romano. Piazza San Lorenzo è gremita in ogni ordine di posti e tributa un doveroso omaggio iniziale alle vittime dell’attentato terroristico di Dacca di una settimana fa, in particolare alla viterbese Nadia Benedetti, della quale proprio ieri mattina sono stati celebrati i funerali a qualche centinaio di metri di distanza. Mauro Morucci chiama sul palco il protagonista della serata e per Carlo Verdone arriva la standing ovation, confermata dall’omaggio che uno dei simboli di Viterbo, i facchini di Santa Rosa, tramite il presidente del Sodalizio Massimo Mecarini gli fanno consegnando e facendogli indossare un ciuffo, quel particolare copricapo che si usa per trasportare la Macchina.
Verdone entra subito in argomento, raccontando dei luoghi della Tuscia conosciuti girando qualche scena: Capranica, Oriolo Romano, l’autostrada del Sole ancora in costruzione, la ferrovia Roma Nord monopolizzata insieme a Veronica Pivetti per alcune scene di “Viaggi di nozze” (a proposito, i pendolari se la presero molto per i ritardi: ad una ventina d’anni di distanza la situazione non è affatto cambiata, anzi…). Gli manca Viterbo… “Confermo: non la conosco pur essendo ad un tiro di schioppo da Roma. Prometto che questa mia mancata conoscenza di Viterbo sarà colmata molto presto…”. Magari per girarci un film o per assistere al prossimo Trasporto: si vedrà.
E la mitica Sora Lella? “Faceva una trasmissione a Radio Lazio in cui le donne telefonavano per raccontare le loro storie di mogli tradite. Ci incontrammo in un bar, mi presentai e il suo primo commento fu: ‘Me cojoni’. La convinsi a fare un provino che andò benissimo. Il grande Sergio Leone che era il mio produttore non era assolutamente d’accordo, ma riuscii ad impormi e fu lei la nonna di Bianco Rosso e Verdone. Sono rimaste memorabili le carbonare che cucinava per tutta la troupe… E in seguito capii pure che Aldo Fabrizi era geloso del successo della sorella”.
Non sono mancati i momenti difficili: “I miei primi due film erano andati davvero bene, ma improvvisamente nessuno mi cercava. C’era la convinzione che dopo quelle due pellicole avessi ormai sparato tutte le mie cartucce, Dopo due mesi passati ad aspettare invano una proposta di lavoro, decisi di tornare all’università dal mio professore di storia delle religioni con il quale avevo preparato la tesi: scoprii che si era suicidato. Ma improvvisamente le cose cambiarono: fu Mario Cecchi Gori a chiamarmi e ad offrirmi di fare un film a personaggio unico. Impiegammo 11 mesi per scrivere Borotalco: quando il film uscì fu un grande successo con 5 David di Donatello. E quella è stata l’opera che mi ha davvero aperto la porta della mia carriera”.