Ormai si sa, Viterbo è la madre di tante personalità di spicco a livello locale, provinciale e internazionale. Uomini e donne che, in un modo o nell’altro, si sono distinti dalla massa compiendo un qualcosa di importante. Lasciando un segno indelebile sulla società.
In questo caso specifico però non ci si riferisce affatto ai gol del bomber Leonardo Bonucci o ai tour internazionali del ronciglionese Marco Mengoni (e mettiamoci pure Bernabei e i Dear Jack). Qui si parla piuttosto delle gesta coraggiose di un uomo che, pur rischiando la vita, ha portato avanti i suoi ideali durante una delle pagine più brutte della storia italiana. Qui si parla di Duilio Mainella, detto il “Leone di Viterbo”, scomparso precisamente il 30 luglio di 44 anni fa.
L’anniversario della sua morte offre l’occasione di ricordare le vicende di un uomo che è stato il simbolo vivente della cultura repubblicana, antifascista e progressista della Tuscia. Il “Leone di Viterbo” sbarcava il lunario facendo lo scalpellino (mestiere molto prezioso e diffuso nella città, nei primi anni del ‘900), ma insieme all’artigiano cresceva la sua sensibilità politica. Sempre in prima linea. C’era nelle lotte dei lavoratori per le conquiste sindacali, c’era in piazza del Teatro durante il comizio del fascista Giuseppe Bottai, quando alzò la voce per interromperlo.
C’era anche durante le “Tre giornate di Viterbo” (10-12 luglio 1921) partecipando alla sollevazione che cacciò i fascisti dal capoluogo. E c’era, con frequenza assidua, nelle celle del carcere “per disfattismo politico”, come recita una nota su di lui nell’undicesimo volume dei Quaderni antifascisti nel casellario politico centrale. Infine, c’era tra i vincitori delle elezioni, sedendo tra le sedie dell’amministrazione viterbese come consigliere e assessore.
“Duro e tenace come i massi di peperino che tagliava e scolpiva con le sue mani callose e abilissime”, è il ricordo di don Salvatore del Ciuco, parroco che conosceva personalmente il “Leone di Viterbo”.
Oggi, a 44 anni di distanza, è doveroso fermarsi un attimo. Ricordare Duilio, al di là dell’appartenenza politica, dei colori e delle bandiere, è conoscere una pagina importante della propria storia.
“Il Leone di Viterbo, l’ultimo dei grandi viterbesi antichi, il primo dei moderni, repubblicano per mezzo, anarchico per fine”, così infine lo descrisse il tipografo Sauro Sorbini. E a ricordacelo è l’Anpi, attraverso le parole di Silvio Antonini.