Fiera del nulla? Esposizione del trash? Sagra delle cineserie? No, signori. Benvenuti piuttosto alla ventunesima Fiera dell’artigianato di Farnese. Entrate pure, prego. Che l’ingresso è libero e lo spettacolo assicurato.
Venerdì, sabato e domenica, lassù in Alta Tuscia, si è consumato il dramma. “E per fortuna che è stato brutto tempo – parola di standista e di residente, unanimi – almeno in giro di gatti ce ne erano due e non quattro. Il portafogli no, ma la faccia l’abbiamo salvata”.
Quella dell’artigianato, a Farnese, è una mostra che come detto in apertura affonda le radici sul finire degli anni ’90. Quando, forse, ci si accontentava della schietta semplicità. Quando i morsi della crisi non erano manco immaginabili. Quando una discreta quantità di artigiani, di gente che sapeva veramente come usare le mani, aveva il piacere di mettersi in gioco su pubblica piazza.
E così c’era il tipo che lavorava il legno. La signora degli orecchini. Quadri. Mobili. Prodotti tipici. E, su tutto, c’era gente che girava. Che apprezzava. Che consumava e ripartiva. Insomma, la fiera era un piacevole passatempo incastonato nelle cantine bomboniera aperte per l’occasione. Della serie: cose buone dentro cose belle. Ma i tempi, ahimè, cambiano.
Già. Le mode vanno e vengono. I gusti si modificano. I soldi diminuiscono. E se mi serve un cesto di vimini lo trovo a due euro su Ebay. Perciò, cos’è e che senso ha oggi la Fiera dell’artigianato?
Bene, si va per ordine. Venerdì (com’era la storia? Né di Venere né di Marte…) una manciata di politici (Alessandro Mazzoli in pole) taglia il nastro di inaugurazione. Si fa il giretto di rito e va a cena al ristorante. Non passando, per dire, dalla “scalata santa”, chiusa. Serviva per accedere al centro storico. Ma non ci sono i soldi per sistemarla. Perciò una transenna e lè, si fa il giro largo.
E chissà dove hanno lasciato l’auto poi, lorsignori. Poiché il parcheggio del “Bottino” (il più grande, importante e strategico) è franato un’era geologica fa, e pure lì il nastro bianco e rosso ha sostituito gli operai, il catrame, i progetti, la logica di risistemazione.
Meglio procedere, perciò. Al posto dell’artista nel 2016 vi è il contoterzista. Colui il quale compera & rivende. “Piuttosto vado alla Coop – commento disperato di turista tedesco – almeno spendo meno”. Ok, caro crucco. Ma sappi che alla Coop l’abbonamento Sky mica te lo fanno. Già, perché tra i banchi (pochissimi e mosci), noi abbiamo anche lui. L’artigiano della parabola. L’amanuense del telecomando.
Allora uno dice: da vedere poco, da comprare nulla, mangiamo. Si, cosa? Uno stand di pizzette fritte e nulla più. Ma a Farnese, che si nutrono d’aria? Si prova così ad arrivare in piazza, che almeno lì c’è lo spettacolo.
Scatta la ciliegi(o)na sulla torta. Scena: Ape 50 segato a metà per orizzontale, dipinto a mano di rosso e guidato da corpulento toscano sulla sessantina abbondante. Presunto nipote al seguito, con microfono, casse, e stornelli infarciti di doppi sensi e allusioni (sono le 18). Sul cassone di dietro, per scendere nel dettaglio, bionda prorompente con tratti tipici di esemplare femminile dell’est Europa, che mentre i due tentano di cantare fa l’Ape-dance strusciandosi su un palo issato al centro del mezzo, stile orso che si gratta la schiena su albero, con tanto di lampeggiante da trattore acceso in cima.
Chi passa tira dritto. Oppure maledice il santo di turno. Chiude gli occhi al figlio. Trattiene il respiro per svenire. Smette di drogarsi, che a tutto c’è un limite.
Considerazioni a margine, raccolte in 72 lunghissime ore. Come può la Regione Lazio apporre il suo logo su una cosa del genere? Come può non controllare, giacché sta sul sito a mangiare? C’è di mezzo pure un finanziamento? Cosa pensa un visitatore occasionale dinanzi a questa “cosa”?
E, sopra ogni altra riflessione: ci si lamenta sempre che nei paesetti non c’è mai nulla. Talvolta il silenzio, invece, pare possa valere più di mille Ape-dance.