Impelagarsi in discussioni sull’Islam è impresa temeraria che rischia solo di provocare figuracce se non si ha una solida preparazione di base. Invece, in concomitanza purtroppo con fatti tragici che si stanno ripetendo con regolarità preoccupante, ecco che spuntano presunti esperti di Corano che con sicurezza (e tanta superficialità) argomentano di questo e di quello senza sapere ciò che dicono. Non è dunque compito di questa umilissima rubrica addentrarsi in questioni teologico – filosofiche di elevato livello: l’obiettivo è invece discutere con serenità senza avere la pretesa di possedere la verità costituita. Tanto più che alla secolare contrapposizione tra cristianesimo e islamismo contribuiscono ragioni di ordine storico, sociologico, politico ed economico nelle quali è bene non ficcarsi.
Il primo concetto da evidenziare, sulla scorta di semplici considerazioni dettate dal buonsenso, è che il mondo occidentale (al quale anche noi italiani orgogliosamente apparteniamo) ha commesso gravissimi errori strategici quando decise di liberarsi di Saddam Hussein e di Gheddafi. Due sanguinari dittatori, non c’è dubbio, ma due leader che pur con motivazioni differenti contribuivano alla stabilità di regioni chiave come il Medio Oriente e il bacino del Mediterraneo. La caduta di quei due regimi ha generato una grave destabilizzazione delle due aree con conseguenze nefaste sugli equilibri mondiali. E ancor prima fu ingiustificabile l’invasione dell’Afghanistan con la pretesa assurda di esportare la democrazia in quella terra, della quale a dire tutta la verità interessava pochissimo al resto del mondo. Come se i giapponesi, tanto per dire, decidessero di invadere il Belgio per imporre il loro modello di vita: sushi a pranzo, cena e colazione a Bruxelles e dintorni. Semplicemente allucinante. E naturalmente inaccettabile per chiunque abbia un minimo di sale in zucca.
Un’altra banale considerazione deriva dalle varie opzioni sul tappeto per snidare i terroristi. La più importante delle quali sembrerebbe l’intensificazione dell’opzione militare. Per carità, nessuno pensa che la faccenda possa risolversi con strette di mano e pacche sulle spalle, ma neppure si può ipotizzare che bombardamenti a tappeto siano la panacea di tutti i mali. Il terrorismo internazionale si sconfigge prosciugando le fonti di finanziamento economico. Chi compra il petrolio dell’Isis? Non dovrebbe essere così difficile saperlo e intervenire di conseguenza visto che, dall’altra parte, ci sono i maggiori esperti di intelligence del pianeta. Non solo, ma qualcuno sa spiegare come mai l’Arabia Saudita (che dispone di un esercito ridicolo) sia il maggior importatore al mondo di armi? Che ci fanno con tutti questi sofisticatissimi e costosissimi strumenti di morte? E se i signorotti del posto non ce lo vogliono dire, non dovrebbe essere così complicato fare indagini con le aziende costruttrici: a chi vendono i loro prodotti? Il fatto è che la dinastia saudita è strettissima alleata degli Usa e quindi non si tocca qualunque cosa faccia. E gli insediamenti israeliani nei territori palestinesi? Numerose risoluzioni dell’Onu impongono a Tel Aviv di smantellarli, ma questo non avviene, anzi se ne creano altri. Nell’indifferenza generale.
Ecco, queste sono solo alcune semplici domande. Se ci fossero risposte soltanto a queste, forse il problema del califfato avrebbe già trovato almeno una strada da percorrere. Non è la soluzione definitiva, è chiaro, ma almeno una traccia su cui lavorare.
Buona domenica.