L’opinione dei tecnici è unanime: per risolvere il problema dell’arsenico l’unica strada davvero utile è miscelare le acque. Cioè mescolare quelle che contengono il veleno con altre che ne sono prive, in proporzioni variabili naturalmente in base alla quantità di arsenico presente. Elementare, direbbe mister Sherlock Holmes. Il problema è che la politica (d’ogni colore) spesso non percepisce i consigli delle persone che hanno studiato i problemi e che hanno anche contribuito praticamente con proposte e studi. E allora nel Lazio e quindi anche nella Tuscia, non è stata scelta la strada del mix, sollecitata ripetutamente dagli esperti della materia, ma quella dei dearsenificatori. Che è molto più costosa sia nella fase di installazione sia in quella successiva della gestione e della manutenzione.
Vale la pena scendere un po’ nei dettagli per comprendere che cosa è accaduto. Alla Pisana governa Renata Polverini quando l’Europa abbassa i limiti di concentrazione di arsenico ammissibili nell’acqua potabile: quello che era bevibile fino a ieri, da domani non lo sarà più. Non è proprio così immediata la cosa, perché i tempi concessi per adeguarsi erano ampi e consentivano ogni tipo di soluzione. Il problema viene lasciato a bagnomaria (è proprio il caso di dirlo) per lungo tempo; per tamponare le emergenze varie si ricorre alle casette dell’acqua e ad altre soluzioni temporanee; intanto, le bollette si pagano senza sconti per un prodotto che non è potabile… Ma la questione va affrontata di petto: le scadenze si avvicinano, non si può più tergiversare. Si chiedono e si ottengono anche proroghe alla Ue, ma ad un certo punto quando ormai non ci sono più speranze di sfangarla senza danni e la procedura di infrazione è dietro l’angolo, bisogna decidere. Nel frattempo in Regione è arrivato Nick Zingaretti, amabilmente detto da Viterbopost “Montalbano de’ Noantri”. Il quale, di fronte all’impellenza di decidere, sceglie la strada dei dearsenificatori. La più breve, ma pure la più costosa. In tutta la Regione, se ne installano un’ottantina per una spesa complessiva che supera i 35 milioni di euro.
Piccolo passo indietro per segnalare che anni fa, quando si manifestò il problema, l’Ato viterbese aveva preparato uno studio per affrontare l’emergenza arsenico. Un vero e proprio progetto di tipo “acquedottistico”: cioè costruire nuovi acquedotti per convogliare nella Tuscia acqua di altre zone che doveva essere poi miscelata con quella locale per abbattere la presenza di arsenico. L’idea di fondo era di utilizzare acque provenienti dal Reatino (che alimenta anche Roma) e quelle del lago di Bolsena. Costo previsto all’epoca 22 milioni di euro, già meno di quanti poi se ne sono spesi con i dearsenificatori. Magari si sarebbe arrivati a 25, anche a 30: sempre meno delle somme che la Regione ha dovuto sborsare successivamente. Con un ulteriore vantaggio: la rete acquedottistica ha costi di manutenzione e gestione notevolmente più bassi. Si pensi che un dearsenificatore costa circa 70mila euro l’anno solo per l’energia elettrica: uno sproposito. Tanto per fare un paragone e rendersi conto della situazione, un piccolo comune spende circa 30mila euro l’anno per l’illuminazione pubblica… Nel 2016 la Pisana ha tirato fuori i soldi per la gestione e la manutenzione girandoli a Talete, ma i Comuni che ancora non sono entrati nell’azienda di gestione integrata non sanno come fare: o dearsenificano da soli (e non ne hanno i mezzi) o si adeguano alle richieste di Talete con bollette inevitabilmente più alte. E l’anno prossimo che succederà? Non si sa.
Intanto, come mostrano gli ultimi dati, i dearsenificatori non funzionano come dovrebbero tanto che in alcuni comuni i valori sono superiori alla norma. Insomma, un bel pacco di milioni spesi e il problema persiste. Ecco che cosa succede a non fidarsi dei tecnici. Ma quando imparerà mai la politica?