Ne ha fatta di strada quella chiocciolina… Quando, trent’anni fa, fece il suo esordio veniva considerata semplicemente il simbolo di tipetti un po’ snob, sempre con la puzzetta sotto il naso, ai quali piaceva mangiare e bere bene. Punto. “Gastrofighetti” secondo la definizione calzante che si ascolta in occasione del trentennale di Slow Food, l’associazione fondata da Carlo Petrini, un piemontese a metà tra lo stravagante e il visionario che però aveva idee molto chiare: “Il turismo del futuro? Parte dai cittadini residenti, dalla loro qualità della vita, dalla capacità di essere felici, dalla loro cura verso la terra che abitano. I turisti arriveranno di conseguenza”. Già uno che dice queste cose dovrebbe essere considerato universalmente un maestro di vita. Ma prima di affermarsi e di essere riconosciuta come una vera e propria istituzione che si pone l’obiettivo primario di permettere a tutti di mangiare bene e sano, a prescindere da quanti soldi hanno da spendere, Sloow Food ha dovuto ingoiare parecchi rospi e sopportare parecchie ironie. Probabilmente la svolta arriva nel 2004 ed ha una matrice internazionale: Time Magazine mette in copertina “Carlin” e lo indica “tra gli eroi del nostro tempo” nella categoria “innovator”, espressione che non ha bisogno di traduzione.
La chiocciolina però piano piano cammina, non si ferma e alla fine – come nella celebre favola di Esopo – batte nella gara di velocità anche la lepre. Oggi Slow Food attraverso le sue varie diramazioni è sinonimo di agricoltura naturale, di prodotti sani, di cibo per tutti, di riscoperta di tradizioni e sapori, di qualità, di stagionalità. E questo comporta rispetto del territorio e della natura, del paesaggio e dell’ambiente. Altro che i “gastrofighetti” evocati come simbolo di quello snobismo da strapazzo utilizzato per colpire all’inizio un movimento che nell’epoca d’oro della “Milano da bere” predicava francescanamente il ritorno alla terra, alle produzioni naturali, ai cicli delle stagioni.
I primi trent’anni di Slow Food vengono celebrati con tanto di torta (con candelina spenta in comunione) nel Village agli Almadiani che è ormai una componente essenziale della multiforme kermesse di Caffeina. Impeccabile padrona di casa, Claudia Storcè (responsabile provinciale), affiancata dal presidente del Lazio Stefano Asaro e dal leader nazionale Gaetano Pascale. Ospite d’onore l’assessore regionale all’agricoltura Carlo Hausmann che, contrariamente a tanti suoi colleghi, arriva in anticipo e soprattutto sa assai bene di che cosa parla. E Hausmann non fa sconti, parla chiaro e diretto: “Sono finiti i tempi in cui facevamo l’elenco dei prodotti da salvare: siamo arrivati a diecimila in tutta Italia. Quando lo diciamo all’estero, ci guardano come se fossimo matti: va bene, ma diteci i dieci più importanti”. Non si può evidentemente, perché prevale ancora l’egoismo e la tutela del particulare. L’assessore non lo dice, ma lo fa intendere. Avanti: “Con la grande riforma agraria di Fanfani, tantissimi piccoli agricoltori ebbero la possibilità di produrre quanto serviva per sostenere le loro famiglie. Passaggio fondamentale, ma eccessiva frammentazione e scarsa concorrenzialità. Ma quello che accadde una cinquantina di anni fa, fu però uno straordinario laboratorio. Oggi però non può funzionare ancora così. Bisogna fare un passo avanti”. E il discorso resta sospeso in attesa di comprendere dove e come bisogna operare.
Tocca al presidente nazionale Nino Pascale rivendicare i meriti di Slow Food. “Carlo Petrini lo ha insegnato a tutti noi: la produzione del cibo è strettamente legata all’agricoltura. E gli agricoltori non sono e non devono essere produttori per l’industria, ma fornitori del nostro buon cibo quotidiano. E’ un passaggio epocale che si concretizza con i mercatini sempre più diffusi sull’intero territorio nazionale nei quali, senza intermediazione, produttori e consumatori interagiscono”. Anzi, per la precisione, non bisogna più usare il termine consumatore, ma quello ben più coinvolgente di co-produttore. E arrivano anche le richieste del capo di Slow Food: “Battaglia dura alle etichette che oggi fanno schifo perché non danno le informazioni che servono davvero; battaglia comune sulla ricerca scientifica che serve e aiuta l’agricoltura seria; lotta alla burocrazia che, per esempio, impedisce di consumare nelle mense scolastiche i prodotti dell’orto della scuola: inconcepibile”. Tema caro al sindaco Michelini che in un breve intervento di saluto dà merito a Slow Food di “aver creato un’etica del cibo, dando attenzione anche alla sua costruzione”.
Hausmann annuisce e riserva le cartucce per la conclusione: “Sento spesso buone idee, ma resteranno sempre tali se non diventeranno buoni progetti: solidi sul piano della sostenibilità economica, capaci di generare reddito e spiegati e comunicati con intelligenza ed abilità. Altrimenti saranno solo buone idee”. Botta numero due: “C’è una miriade di leggi in Italia, ma ce ne sono due riguardano il mondo qui largamente rappresentato e non sufficientemente utilizzate: la fiscalità agricola e la multifunzionalità. Piccolo è bello, ma non basta più: mettere insieme più produttori dello stesso genere serve ed è anche utile, tanto che nel Psr c’è una misura specifica a vantaggio proprio di chi si unisce: il 60% a fondo perduto invece del 40%. Vi sembra poco?”. Non è ancora finita: “Le aziende agricole devono cominciare a pensare di allargare i propri confini. Per esempio, gli integratori alimentari possiamo tranquillamente farli noi senza andare a comprarli pagandoli molto caro”. Più naturali, più buoni e probabilmente meno costosi. La conclusione non fa sconti a nessuno: “Dobbiamo cominciare ad essere un po’ meno durissimi e purissimi, ma un po’ più morbidi e flessibili e soprattutto con un approccio più intelligente”. Buon compleanno, Slow Food.