Con il termine Brexit si indica l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea che potrebbe essere sancita dal referendum in programma domani. Il fatto andrebbe a sancire una chiusura definitiva dell’Isola di Sua Maestà verso un’istituzione mai troppo amata oltre Manica. La Gran Bretagna da tempo teme che il progetto Europa possa alla fine deflagrare, schiacciato da veti incrociati, mancanza di politica e di un disegno comuni. Anche se il referendum dovesse certificare un sì all’Unione, gli inglesi continueranno a non sentirsi parte di un progetto comune. Sono i padri storici dell’euroscetticismo e questo lo sanno bene proprio i tedeschi, che temono il divorzio come la fine del mondo. Difficile che Angela Merkel nel suo ultimo colloquio romano con Matteo Renzi non abbia affrontato l’argomento, come è complicato pensare che la visita tanto criticata del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, sia stato solo un tour elettorale.
Nei colloqui privati i vertici istituzionali del Paese dei lander, come quelli dell’Unione Europea, hanno cominciato a tessere la tela di protezione intorno a investimenti e banche. Anche per questo la Commissione ha deciso di concedere flessibilità ai conti di Italia, Spagna e Portogallo. In gioco c’è la fusione a freddo dell’euro e non è il caso di intestardirsi sul rigore dei conti. Dovesse collassare l’Ue, una crisi avrebbe il carattere di un’epidemia sistemica molto peggiore della fine dello Sme, meglio quindi pensarci per tempo.
Ci sono precedenti. Come dimenticare quel volo segreto che nel 1992 portò a Ciampino l’allora numero due della Buba, Hans Tietmeyer, sceso in Italia per annunciare al governo che Berlino non avrebbe più sostenuto la lira? Ne seguì la svalutazione e l’uscita dallo Sme decisa dal governo Amato messo con le spalle al muro. Cosa ci dobbiamo aspettare oggi, al di là dei saluti e degli elogi di convenienza? In caso di Euxit saremo della partita Euronord con la Germania o resteremo segregati nel club dell’Euromed? Il risultato della consultazione che fa tremare la poltrona di David Cameron, tanto da spingerlo a evocare rischi di un conflitto bellico in caso di vittoria dei “no” all’Ue, mentre il suo antagonista Boris Johnson arriva all’improponibile paragone Unione uguale progetti egemonici di Napoleone e Hitler, secondo gli economisti del Groupe Edmond de Rothschild, è essenziale sia per Londra che per Bruxelles.
L’Eurozona, in particolare, sembra avere le carte in regola per uscire vincente dalla consultazione, qualunque ne sia l’esito. Infatti, anche se le questioni migratorie sembrano aver cristallizzato le tensioni tra Londra e Bruxelles, queste non sono che la parte emersa della posta in gioco. Nei negoziati con gli altri capi di Stato e il governo dell’Ue, Cameron ha raggiunto i propri obiettivi su diverse rivendicazioni legate a competitività, sovranità o libera circolazione delle persone e il versamento delle prestazioni sociali ai migranti dell’Ue. Tuttavia, non è riuscito a strappare un diritto di veto sui temi riguardanti l’Eurozona.
Perché ce l’hanno con l’Europa? I britannici non hanno mai mandato giù la volontà unilaterale della Bce di imporre la localizzazione nell’area euro delle stanze di compensazione (il dare e avere nelle transazioni finanziarie) in modo da avere interamente sotto controllo questo elemento cruciale del sistema finanziario europeo e della sua stabilità. A suo tempo, per altri motivi, Margaret Tathcher disse ”rivoglio indietro il mio denaro”. È un principio ancora valido. Ma tirare via il tappeto inglese sotto i piedi degli europei farebbe cadere fragorosamente anche i tedeschi. Lo sa bene Mervyn King, mitico ex governatore della Banca d’Inghilterra, per il quale le politiche “dettate da Bruxelles e Francoforte hanno imposto enormi costi ai cittadini d’Europa. L’incapacità dei Governi di prevenire l’alta disoccupazione e di evitare riduzioni nel tenore di vita ha portato alla disillusione. Era prevedibile che molti elettori avrebbero cercato rifugio in partiti anti-sistema”.
E non sono parole al vento, ma di un uomo che è stato per dieci anni capo della politica monetaria inglese. Ecco perché il referendum è un pericolo in sé, oggi in Gran Bretagna, come domani in Finlandia o addirittura in Germania. Ha un valore simbolico di riappropriazione della sovranità nazionale ma anche un alto tasso emulativo presso chi sta a guardare e propone al suo elettorato: facciamolo anche noi. Fin troppo facile prevedere oggi che una Brexit avrà sul Regno Unito un impatto economico e finanziario difficile da valutare ma sicuramente negativo. Lo shock potrebbe essere limitato a una flessione dell’1 per cento del Pil britannico su base annua, e scomparire dopo tre anni. Ipotizzando che l’80% delle banche europee e il 50% delle banche non britanniche e non europee si trasferirebbero nella zona euro per svilupparvi le loro attività, il flusso potenziale di capitali in entrata nella zona Ue sarebbe di 680 miliardi di sterline (circa 860 miliardi di euro), ossia l’equivalente del 34% del Pil britannico e di almeno l’8 per cento di quello dell’Eurozona. Un bell’affare per chi resta nell’Unione, uno catastrofe per gli inglesi.
In tale scenario, l’euro potrebbe apprezzarsi del 34% sulla sterlina. Secondo altri calcoli, il Pil dell’area euro progredirebbe dell’1,3% dopo due anni. Ma queste sono solo previsioni che possono essere completamente smentite dai fatti. I rischi politici sono infatti molto più grandi e questo lo sa bene proprio il cancelliere tedesco. Un’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, ha confessato proprio il suo ex consigliere, il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, comporterebbe un effetto emulativo devastante, soprattutto per quei paesi nordici, Olanda, Finlandia in primis, che cominciano ad essere molto euroscettici e che d’altra parte rappresentano gli alleati storici del rigore tedesco. Persino in Italia, secondo il Financial Times, ci sarebbe un’ipotetica maggioranza dell’opinione pubblica che vorrebbe essere sottoposta ad un referendum sull’Ue.
Cosa accadrà a Berlino se in un colpo dovessero uscire Londra dall’Ue e Helsinki e Amsterdam dall’euro? La prima cosa certa è che nessuno garantirebbe più il mega-prestito di 86 miliardi alla Grecia con fallimento istantaneo di Atene e uscita dall’euro. Il rischio connesso con il Brexit è quindi grandemente sottovalutato e potrebbe fare scuola tra i 28 paesi dell’Ue. Merkel e Weidmann, da bravi assicuratori, si stanno coprendo per tempo e cercano a Roma e in Europa nuovi alleati contro una ben più pericolosa Euxit. Non c’è in gioco solo l’esplosione del Regno Unito, ma la fuga generalizzata dall’Unione.
Stefano Signori
Presidente di Confartigianato Imprese Viterbo