La sintesi giornalistica rende bene l’idea: Brexit, cioè l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. Ammesso e non concesso che i sudditi di sua maestà Elisabetta II ci abbiano mai messo veramente piede nella Ue, visto che hanno orgogliosamente conservato la loro moneta, i loro sistemi di misura e naturalmente la guida a sinistra. Come che sia, tra qualche giorno in Inghilterra i cittadini dovranno votare ed esprimersi sulla permanenza (a modo loro) nelle strutture europee. La campagna elettorale è stata aspra e persino contrassegnata da un omicidio: un esagitato al grido di “Britain first” (cioè, la Gran Bretagna prima di tutto) ha sparato contro una deputata laburista che si stava dando da fare a favore del “Sì”. La donna è morta subito dopo il ricovero in ospedale.
Sangue, dunque, su una battaglia che non è solo ideologica. Ma economica, commerciale e anche psicologica. Non è questa la sede per analizzare i pro e i contro di un’uscita dalla Ue degli inglesi (le analisi e i possibili scenari sono stati scandagliati in lungo e in largo da quelli bravi), piuttosto la circostanza dà la possibilità di qualche considerazione sullo stato dell’arte dalle parti di Bruxelles e Strasburgo. Il grande sogno post secondo conflitto bellico dei padri fondatori di quello che allora venne chiamato Mec (Mercato comune europeo) è fallito: la Grande Europa dei popoli non è mai davvero decollata. Nonostante i confini si siano progressivamente allargati fino ad inglobare una trentina di nazioni, l’idea di un un blocco continentale che si ponesse in alternativa agli Stati Uniti e alla Russia si è rivelata un bluff. Molto hanno influito su questo fallimento i due Paesi più grandi e più forti: la Francia continua a comportarsi con la solita e insopportabile puzzetta sotto il naso, nonostante la grandeur sia solo il ricordo di un passato più o meno recente, mentre la Germania (di fatto, l’autentico rais) fa a e disfa come gli pare, fregandosene degli altri e imponendo le sue visioni economiche. Nella sostanza, continua a regnare il marco. Che ha solo cambiato nome e adesso si chiama euro. L’Italia, in questo contesto, conta poco: Berlusconi non veniva accettato dalle cancellerie europee (lo definivano amabilmente “il barzellettiere” e anche qualcos’altro, ma è meglio sorvolare per carità di patria), Renzi prova a sbraitare e ad alzare la voce, ma con risultati abbastanza scadenti.
Se il contesto è questo, le spinte centrifughe hanno gioco abbastanza facile a farsi sentire. Non solo in Gran Bretagna, il cui “isolamento” geografico si è manifestato soprattutto sul piano economico: gli inglesi hanno sempre guardato verso l’America e verso i territori sui quali hanno dominato per decenni (l’India, in primis). In Italia, in Francia, in Belgio, in Olanda, i partiti anti Ue non fanno troppa fatica a trovare proseliti di fronte al cieco e ottuso burocratismo che è stato il carattere dominante finora delle politiche delle istituzioni europee, più impegnate a preservare se stesse che a dare reale impulso alla crescita. L’Europa delle banche e dei poteri forti: questo si percepisce e, in larga parte, è anche vero. Gli inglesi decidano per conto loro: comunque vada, ce ne faremo una ragione. Restano sul tavolo i problemi veri: o si cambia davvero verso o referendum per l’uscita dalla Ue si cominceranno a tenere dappertutto. E stavolta con esiti ben più devastanti.
Buona domenica.