Correvano (eccome se correvano) i primi anni 2000. E per quei pochi fortunelli che hanno avuto il coraggio, anzi il culo (a volte è bene essere espliciti) di trovarselo dinnanzi, per i corridoi dell’Unitus girava un certo Tomaso Montanari. Con quella “m” sola nel nome, e con quel curriculum promettente che di lì e poco avrebbe confermato ogni promessa.
Montanari il fiorentino, classe 1971, era ricercatore di ruolo di Storia dell’arte moderna, e si occupava nello specifico di Storia dell’arte e di Storia della critica d’arte. Sopra ogni altra cosa, però, Tomaso con una “m” sola, era un figo. E non perché bello o giovane, no. Piuttosto perché particolarmente intelligente. Fortissimo nel catturare le menti. Abile nel rendere piacevole anche l’argomento più palloso. Insomma, il classico insegnante che a Viterbo si dice: “Questo è gajardo. Andrà via presto”.
Ed infatti. Ed infatti Montanari dal 20 dicembre 2004 e fino al 31 ottobre 2008 ha vissuto altrove, alla facoltà di Lettere e filosofia di Roma, “Tor Vergata”. Nel giugno del 2008 è stato confermato in ruolo, e nel novembre di quell’anno si è ritrasferito. Stavolta all’università di Napoli. Il primo ottobre 2015 ha preso servizio, nella stessa, come professore ordinario.
E questo è un accenno della sua carriera extra-Tuscia. Alla quale vanno aggiunte diverse cosette: storico dell’arte, editorialista e blogger. Ha collaborato con Il fatto quotidiano, col Corriere del Mezzogiorno, e con Repubblica. Prestava la sua penna anche col Corriere fiorentino (costola del Corrierone) dal quale è stato però licenziato per incompatibilità con “la linea del giornale”, dopo aver pubblicato un saggio assai critico nei confronti di Matteo Renzi (Le pietre e il popolo, 2013).
E veniamo alle sue ultime gesta. Tomaso nostro stavolta ha deciso di dimettersi dal proprio pesante ruolo di membro di commissione del Ministero dei Beni Culturali, con una lettera indirizzata direttamente al ministro Franceschini.
Ve ne riportiamo un paio di passaggi. “Abbiamo esaminato e chiuso ventiquattro complesse pratiche – scrive – E abbiamo deciso di accettare undici proposte di cessione di beni culturali come pagamento delle imposte, per un valore totale di 2.055.396,31 euro. Ma il ministero dell’Economia ci ha comunicato che il relativo capitolo dello stato di previsione della spesa prevede solo la ridicola cifra di 31.809 euro”.
Piccola spiegazione e poi si prosegue: la suddetta commissione, dalla quale il docente si è dimesso, si occupa di crediti e creditori, per conto dello Stato. Nel senso: “Non puoi pagare? Salda il tuo debito con un’opera d’arte che hai in cantina”. Strano, ma vero.
Avanti. “In queste condizioni – prosegue, sempre rivolto a Franceschini – il lavoro della commissione è del tutto inutile. O, meglio, è utile solo all’accanita propaganda che si sforza di rappresentare agli occhi degli italiani la falsa immagine di un governo sollecito verso il bene del patrimonio culturale. Poiché io, al contrario, ritengo che alcune leggi e ‘riforme’ promosse dall’attuale Governo e da Lei siano una grave minaccia per la ‘tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione’, non ho alcuna intenzione di prestare il mio lavoro e la mia competenza a quella propaganda”.
Ecco, uno così, se dovesse tornare in città (anche per sbaglio), sarebbe parecchio utile.