“Abbiamo migliaia di amici su Facebook, ma non conosciamo i nostri vicini”
Secondo lo psicanalista autore de “La morte del prossimo, la globalizzazione ha favorito l’amore per il distante. E chi ne paga il prezzo è l’amore per il prossimo”. Postiamo faccine tristi sotto una foto pubblicata su Facebook, ma camminiamo indifferenti davanti ai senzatetto seduti agli angoli delle strade. Abbiamo conoscenti dall’altra parte del mondo con cui chattiamo ossessivamente, ma non sappiamo neanche come si chiama il nostro vicino di casa. È La morte del prossimo, come l’ha chiamata lo psicanalista Luigi Zoja. Per migliaia di anni, nel credo di milioni di esseri umani, un doppio comandamento ha retto la morale ebraico-cristiana: ama Dio e ama il prossimo tuo come te stesso. Poi Nietzsche ha annunciato che Dio è morto e poco dopo, nelle nostre società di massa, è avvenuta anche la morte del prossimo. Sia nell’antico che nel nuovo testamento il prossimo è qualcuno che ti sta vicino. Una persona che vedi, senti, che puoi toccare. Ma la società di massa e la tecnologia hanno portato a una dominazione della lontananza. La globalizzazione ha favorito l’amore per il distante e chi ne paga il prezzo è l’amore per il prossimo. Questo si unisce all’indifferenza per il vicino prodotta dalla società di massa.
È come subire una vicinanza, che non è più legata alla volontà di conoscersi. Siamo diventati estranei rispetto agli uomini che incontriamo ogni giorno. Sono vicini ma restano degli sconosciuti. Nella dimensione delle grandi masse urbane l’indifferenza generalizzata è diventata abituale. L’unico fattore terapeutico resta la famiglia. Le tecnologie hanno amplificato tutto questo.
Prendiamo i social network; si possono avere migliaia di friends, ma c’è chi ha teorizzato che l’uomo è fatto per memorizzare al massimo 150 volti. Non siamo fatti per conoscere tutte queste persone. Tant’è che sui social abbiamo le foto che ci ricordano chi sono gli individui con cui interagiamo. La tecnologia ha creato l’illusione della conoscenza e della vicinanza, tramite una falsa ricostruzione della prossimità. È il paradosso di Internet.
Fino a un certo punto Internet e la tecnologia portano più conoscenza, ma c‘è un punto oltre il quale si smette di interagire con le persone vicine, il circolo sociale si riduce e cresce la solitudine. Si crea l’illusione di onnipotenza di avere amici in tutto il mondo, ma sappiamo che non è così. È un’affettività alterata, non accompagnata dalla vicinanza, di cui tra l’altro ci si sta cominciando a occupare. Negli Stati Uniti, ad esempio, l’aviazione militare sta studiando le conseguenze psicologiche dei bombardamenti effettuati sempre più con i droni e sempre meno con gli aerei. Prima il pilota sorvolava l’area che doveva bombardare, c’era una certa vicinanza fisica. Ora ci si sta chiedendo cosa succede all’affettività di questi uomini che sono in Nevada, accompagnano i figli a scuola, poi vanno in ufficio, schiacciano un bottone e bombardano una città dall’altra parte del mondo, uccidendo bambini della stessa età dei figli che hanno appena lasciato a scuola. Poi la sera tornano a casa, cenano ecc. Davanti al rischio di alienazione affettiva, stiamo assistendo però anche a tentativi di recuperare lo stato di affettività primaria. Certo, negli ultimi tempi stanno emergendo iniziative per tornare alla prossimità dei rapporti anche attraverso la tecnologia. Ad esempio utilizzando internet come mezzo di ricostruzione della solidarietà e dei rapporti di vicinato, come strumento per incontrarsi dal vivo, per organizzare concerti e rinsaldare legami. La tecnologia, attenzione, non serve solo a distruggere.
Stefano Signori
Presidente di Confartigianato Imprese Viterbo