Lei è una ex hippie, una figlia dei fiori, come si diceva sul finire degli anni Sessanta quando alle superiori un ottimo motivo per scioperare era la guerra nel Vietnam. “Ma lo sono ancora eh…” chiarisce alla platea di giovani studenti dell’Itt Leonardo da Vinci che trascorre una mattinata diversa: nell’aula magna dell’istituto c’è Nada. Che di cognome fa Malanima e che nella vita poco più che quindicenne conobbe una straordinario successo musicale: milioni di dischi, interviste, concerti, la fama e anche tanti soldi. “Ma io quella cosa lì l’avevo subita. Io volevo continuare ad andare a scuola, al liceo classico. Sì, mi piaceva cantare e lo facevo anche, ma era un gioco, un qualcosa da fare in famiglia. E invece mi sentì qualcuno e mi propose di andare subito a Roma. Da quel momento fui travolta dagli avvenimenti senza quasi rendermene conto: Sanremo, la televisione, le sale di incisione… Ero una ragazzina o poco più. Un percorso rapidissimo e un successo clamoroso”.
Ma la signorina Malanima, nonostante tutto, non era soddisfatta del tutto. Ha qualcosa dentro che la consuma, un virus che la percorre e la rende inquieta. “Ad un certo punto – continua – mi resi conto che quello che cantavo non era quello che io volevo dire; era lontano da me, non rispecchiava i miei sentimenti, le mie passioni. E così cominciai a rifiutare tutto quello che mi presentavano, suscitando le reazioni anche violente dei miei interlocutori che non riuscivano a spiegarsi perché stessi buttando via il mio talento. Ma io non stavo buttando via niente: cercavo solamente me stessa”. Ed è un po’ quello che accade a Leonida, la donna protagonista del suo ultimo romanzo che presenta ai ragazzi del Leonardo da Vinci: una persona che nasce e vive senza affetti e che attraverso un percorso fatto anche di sofferenze riesce a ritrovare se stessa.
“In quella fase – racconta ancora Nada – fu decisivo l’incontro con Piero Ciampi, un poeta prestato alla musica del quale mi innamorai perdutamente. Ma non in senso fisico (aveva molti più anni di me), piuttosto come qualcuno che riusciva a dire e a cantare le cose che io volevo dire e cantare. E’ stato il primo passaggio importante della mia vita. Ad un certo punto, però, mi accorsi che dovevo essere io stessa a scrivere le mie canzoni: cominciai a strimpellare la chitarra, cominciai a lavorare sui testi e sulla musica. Ma quei primi pezzi erano improponibili, duravano quaranta minuti: tempi assolutamente incompatibili con quelli di un normale brano musicale. Ho lavorato molto e mi sono molto incazzata quando non ci riuscivo, poi piano piano ce l’ho fatta a concentrare il messaggio in 4-5 minuti. Non c’è bisogno di un poema per dire ciò che si vuole. E anche i miei libri sono abbastanza brevi…”.
Già, perché la seconda vita di Nada è fatta anche di romanzi e di scrittura. “Il mio editor è una persona che adoro. Fu lui a cercarmi una quindicina d’anni fa, conosceva le mie canzoni e mi chiamò proponendomi di scrivere un libro. Pensavo che stesse scherzando… Invece parlava sul serio e mi convinse. Fu così che nacque nel 2003 ‘Le mie madri’, dedicato alle tante donne della mia vita che hanno avuto una straordinaria influenza su di. Sono stati i loro insegnamenti e i loro comportamenti a guidarmi nei momenti difficili della mia prima vita da cantante. E poi nel 2008 venne ‘Il mio cuore umano’, seguito quattro anni dopo da ‘La grande casa’. Direi che sono legati da un percorso unico e molto autobiografico. In Leonida, per la prima volta scrivo in terza persona, ma quella donna dal nome così strano e maschile rappresenta tutte le donne della mia vita e quindi un po’ anche me stessa”.
Il 30 giugno sarà nuovamente a Viterbo in occasione di Caffeina, annuncia il presidente della Fondazione Andrea Baffo che anticipa anche una novità: una app che permetterà di essere sempre aggiornati sulle iniziative a cominciare dal programma della prossima edizione. Il padrone di casa, il dirigente scolastico Luca Damiani, ascolta il racconto rapito e diventa egli stesso intervistatore: “Tra l’essere e il successo – scandisce Nada – non ho avuto dubbi e ho scelto la prima strada. Oggi mi sento realizzata: in fondo scrivere è stata sempre la mia grande passione e i libri non tradiscono mai. Perché nella vita è tutto circolare: si ritorna sempre all’origine”. L’espressione più bella e profonda arriva proprio sul gong, al momento dei saluti: “Il tempo cura le ferite, ma non le guarisce”. Proprio così. E ogni tanto le cicatrici che pensavamo definitivamente chiuse riprendono a sanguinare e fanno male e ci riportano indietro. Perché nella vita è tutto circolare.