07112024Headline:

Quelli che fanno popò col sedere degli altri

Dialoghi nostrani, registrati in famiglia, su fatti e misfatti del capoluogo e dintorni

avventure disegnoQuella mattina Barbara s’era svegliata di buon’ora, prima del marito. Era scesa in cucina, aveva sorseggiato il suo solito caffè macchiato col latte rigorosamente freddo e s’era accesa l’immancabile sigaretta. Poi era uscita in giardino per annaffiare le sue piante, visto che i fiori primaverili, complice anche il caldo anomalo di quei giorni, avevano abbondantemente estratto i loro petali variopinti che facevano bella mostra di sé un po’ dappertutto.

Ma l’atmosfera bucolica era durata poco. “Antò, Antò, svejate!” cominciò improvvisamente a urlare la donna rientrando in casa. “Antò, svejate e viè ggiù subbito che ‘r tubbo der giardino nun butta più acqua. E si io nun annaffio, co’ ‘sto callo li fiori se seccheno!”.

“Arivo, arrivo” borbottò Antonio ancora insonnolito. “Mo vedemo c’ad’è successo”.

L’uomo cominciò ad armeggiare attorno al quadro comando del pozzo artesiano che era stato realizzato anni prima per l’irrigazione esterna, ma l’archibugio – nonostante gli sforzi – si rifiutava di funzionare e l’acqua di sgorgare dal tubo. Alla fine Antonio si arrese, con l’aria disperata. “Questo – disse – ad’è un guaio grosso. O s’è bruciata la pompa, o ne la vena nun c’è più acqua. Tocca telefonà subbito a Roberto e Cesare e fallì venì qua, pe vedé quello che ponno fa”.

“Mamma mia” aggiunse Barbara. “Speriamo che se possa riparà subbito ‘r guasto, sinnò se secca tutto. Mica me posso mette a ‘ddoprà l’innaffiatoro a mano pe’ tutte le piante. E quanno arivo…”.

Antonio si fermò un attimo a riflettere. Poi continuò: “Allora, qui ‘r problema è questo. Si s’è bruciata la pompa, tocca tirala su e mettela nova: in un giorno se fa tutto. Si invece s’è seccata la vena, allora so’ cavoli amari, perché tocca fa’ ‘n antro buco e tocca fa’ venì la trivella…”.

“Beh – commentò Barbara – armeno stamo sur pezzo”.

“Che voi dì?” chiese allora Antonio.

“Vojo dì – replicò la donna – che ne ‘sti giorni le trivelle vanno de moda. Er casino ch’ad’è successo in Basilicata, la ministra che s’è dovuta dimette pe’ corpa der convivente… E poi ce sta er referendum der 17 aprile, quello de le trivelle, appunto…”.

Antonio rimase per un attimo pensieroso. Poi attaccò: “Cara Barbara, hai da sapé che l’Italia ad’è ‘n Paese strano. E che li parenti spesso so’ ‘na traggedia. Pe’ tutti, figuramese pe’ li ministri. Pe’ sta’ tranquilli toccherebbe che chi va a governà er Paese, come ha detto puro Crozza, fosse trovatello, singole e senza manco li cuggini de secondo e terzo grado. Sinnò so’ guai. Comunque li magistrati hanno detto che la Guidi è parte offesa e tocca aspettà pe’ vedé come finirà tutto er cancan. Io prevedo in una bolla de sapone, armeno pe’ quello che riguarda la politica. E si me dovessi sbajà so’ pronto puro a chiede scusa. Ma sur referendum…”.

“Perché – interloquì Barbara – sur referendum che c’hai da dì?”

“C’ho da dì – replicò Antonio – che me so’ rotto li cabbasisi, pe’ dilla a la Montalbano, de tutta ‘sta gran ipocrisia che esiste solo in Italia e che nun ce porta da nessuna parte”.

“Antò, spieghete, che nun ho capito…” aggiunse la moglie.

“Allora mo te spiego tutto” apostrofò l’uomo mettendosi seduto e aspirando un paio di voluttuose svapate dalla sua sigaretta elettronica. “Te lo ricordi er referendum sur nucleare? Vinsero li no e in Italia le centrali nucleari nun se so’ mai fatte. Anzi, se so’ puro chiuse l’uniche due che c’ereno. Ma de corente ce n’è bisogno, a allora noi italiani, furbi come le vorpi, la semo annati a comprà all’estero: in Francia, in Svizzera, in Germania. Dove le centrali nucleari ce l’hanno. E si – famo le corna – ne dovesse scoppià quarcheduna, le conseguenze ce sarebbero puro da noi, perché le radiazzioni nun è che se fermeno ar confine e je poi chiede ‘r passaporto…”.

“Vabbé, ma che c’entra?” chiese ancora Barbara.

“C’entra – rispose il marito – che l’italiani le centrali nucleari nun l’hanno volute, ma se je dici c’hanno da sta’ senza corente te se magneno vivo. Prova a dì ar popolo che pe’ un mese ha da fa’ a meno de l’elettricità: scoppierebbe la rivoluzzione…”.

“Beh, in effetti” commentò Barbara.

“E mica ad’è finita” riprese Antonio. “Stessa zunna co’ li telefonini. Ormai, nun solo ce l’hanno tutti, ma c’è puro chi ce n’ha due o tre.  Li compreno pure a li fiji che ancora pijano er latte da la madre. Però, quanno se tratta de mette ‘n’antenna, nu’ la vo’ nessuno vicino a casa sua. Perché dicheno che fa male. E allora ecco le proteste, li cortei, le petizzioni pe’ sarvaguardà la salute. Ma che la gente nu’ lo sa che senza l’antenne li telefonini nun funzioneno? Lo sa, però je piace tanto fa’ l’ipocrita…”.

“Sì Antò – obiettò ancora Barbara – ma ‘sta storia de le trivelle ad’è un po’ diverza. Qui c’è in ballo la salute der mare. E poi mo ce so’ le energie alternative…”.

“Guarda che su l’energie alternative – interruppe subito Antonio – l’Italia è a l’avanguardia. Ma nun basteno. Purtroppo c’avemo ancora bisogno der petrolio. E si nu’ lo tiramo fori da soli, semo costretti a pagallo a caro prezzo da l’arabi e da l’americani. Perché de la machina, sta tranquilla, nun ne vo fa’ a meno nessuno. Er probblema è che a parecchi italiani je piace de cacà cor culo dell’antri…”.

“Eh Antò, nun fa lo sboccacciato” lo redarguì Barbara. “Mejo dì: quelli che fanno popò cor sedere de l’antri. Certo che pe’ sarvà l’ambiente bisognerebbe ricomincià a annà tutti a piedi. O cor cavallo, come se faceva ‘na vorta…”.

“E tu penzi che la gente sarebbe contenta?” chiese a quel punto Antonio con un sorrisetto beffardo.

“Me sa de no” rispose Barbara con tono dimesso.

“E allora lo sai qual ad’è ‘r morale de la favola? Che le trivelle toccherebbe da usalle pe’ trivellà certi cervelli…” concluse Antonio.

Barbara annuì, poi decise di tornare ai problemi casalinghi: “Antò – disse – lassamo perde ‘sti discorzi e va subbito a telefonà a Roberto e a Cesare pe’ vedé d’aggiustà ‘r pozzo. Che si poi avemo da chiamà la trivella noi, pe’ fortuna, er referendum nun lo dovemo da fa’”.

Policy per la pubblicazione dei commenti

Per pubblicare il commenti bisogna registrarsi al portale. La registrazione può avvenire attraverso i tuoi account social, senza dover quindi inserire ogni volta login e password o attraverso il sistema di commenti Disqus.
Se incontrate problemi nella registrazione scriveteci webmaster@viterbopost.it

Pubblica un commento

Per commentare gli articoli, effettua il login attraverso uno dei tuoi profili social
Portale realizzato da