In Italia le metodologie e le procedure insite nella globalizzazione economica hanno creato grandi danni al sistema Paese, basato com’è sulle piccole e medie imprese. In Italia ci sono circa 4,5 milioni di imprese, di queste all’incirca solo 500mila vantano buoni profitti, i restanti 4 milioni rappresentano un’anomalia nell’ambito del sistema economico-finanziario che indirizza la globalizzazione.
Queste 4 milioni di imprese rappresentano l’eccezione nell’ambito di un sistema economico globalizzato, la cultura prevalente non riesce a capire come fanno a sopravvivere nonostante le banche non concedano loro credito; nonostante che debbano pagare tasse sulle perdite; nonostante l’aver in certi momenti la pubblica amministrazione contro; nonostante il deficit della rete infrastrutturale. Nonostante tutto riescono a stare in piedi.
Queste 4 milioni di imprese rappresentano un modello alternativo, sono la punta dell’iceberg del nuovo modello culturale che la complessità ritiene indispensabile per evitare che un sistema mondiale, “intrecciato” come quello in cui viviamo, trovi il suo punto di equilibrio finale in una catastrofe cosmica.
In Italia le ricadute negative sul sistema sociale e su quello delle imprese sono evidenti e sono esaminate in profondità e con attenzione. La burocrazia e il fisco, sono il vero blocco allo sviluppo del Paese: un freno alla fuoriuscita dell’Italia dalla crisi che la attanaglia e alla ripresa di un’economia che potrebbe contare sull’enorme potenzialità della quale dispone. Una potenza inespressa, imbrigliata e condizionata da un sistema di regole e vincoli soffocanti.
L’avvio del percorso di riforme che il governo sta tentando di imboccare è l’unica via di uscita possibile, sempre che si riescano a superare le resistenze interne al nostro sistema che lottano per il mantenimento dello status quo, fatto di privilegi, corporativismi, spartizioni e interessi consolidati. Il riformismo non dev’essere inteso come forsennato accatastamento di nuove e ingarbugliate leggi che imbriglino ancora di più i motori economici nostrani, quanto piuttosto la sistematica di soluzioni snelle, veloci ed efficaci che risanino la lunga serie di falle che negli anni hanno condotto l’Italia ad affondare nel pantano della crisi mondiale. Già in tempi non sospetti i vertici di Confartigianato hanno individuato una serie di campi d’azione dove intervenire, indicando le leve sulle quali far forza per restituire slancio al Paese. Dallo snellimento della burocrazia, all’accesso al credito, dalle strategie di posizionamento delle PMI sui mercati esteri, all’allentamento della morsa fiscale sulle nostre imprese. La deriva del Paese può essere fermata, il deficit può essere risanato, a condizione che lo Stato affianchi e supporti le PMI, vere risorse produttive rinnovabili, rimettendo così in moto l’economia italiana.
Stefano Signori
Presidente di Confartigianato Imprese Viterbo