Sul referendum del 17 aprile, vige la regola del silenzio: meno se ne parla, meglio è. Nel senso che l’obiettivo dichiarato è che non si arrivi al quorum, cioè che l’affluenza alle urne non raggiunga la metà più uno degli aventi diritto al voto in modo da rendere nulla la consultazione e permettere dunque che la legge non venga abrogata. E così l’incontro organizzato al Caffè Letterario in cui viene spiegato che cosa è davvero in ballo e per quale motivo è stato indetto il referendum, è più che mai opportuno. Qui non è tanto in discussione se dire sì o no (ma se ne parlerà), quanto il dovere di informare i cittadini che hanno il diritto di conoscere edi sapere per poter valutare e decidere. “E invece a partire dal premier Renzi e dal ministro dell’ambiente Galletti – sostiene Umberto Cinalli – l’invito è a disertare le urne. Un’autentica vergogna per la quale si stanno valutando anche iniziative di carattere giudiziario visto che un pubblico ufficiale, in base ad una legge vigente, non può fare dichiarazioni di questo genere”.
A spiegare come stanno le cose sono il professor Giuseppe Nascetti, ordinario di ecologia all’Università della Tuscia, e appunto Umberto Cinalli, educatore ambientale ed esponente di spicco nella Tuscia di Legambiente; modera il dibattito il giornalista Gianni Tassi. Intanto, che cosa prevede il quesito referendario? La proposta è di abrogare il testo legislativo che consente di effettuare trivellazioni entro 12 miglia dalla costa (cioè, il limite delle acque territoriali) e allunga le concessioni per sempre: per i sostenitori del sì un autentico regalo alle multinazionali e un pericoloso sfregio ambientale. In realtà, i quesiti proposti erano 6, ma 5 di questi sono stati giudicati per varie ragioni inammissibili, e quindi ne è rimasto in piedi solo uno. Va anche aggiunto che è stato a lungo chiesto che la consultazione del 17 aprile fosse accorpata con il turno amministrativo dei primi di giugno: si sarebbero risparmiati 300 milioni di euro. Niente da fare: il governo ha detto no perché ci sarebbe stato il serio “rischio” di arrivare al quorum. Per completare le informazioni generali, va detto che in Italia sono attualmente presenti entro il limite delle 12 miglia, 88 piattaforme per l’estrazione di idrocarburi. Di queste, 6 sono non operative (ma non sono state smantellate: perché?), 29 non eroganti, 29 eroganti ma sotto il limite della franchigia (cioè producono in quantità inferiori ad una determinata soglia che permette di non pagare tasse), le rimanenti 24 operanti a pieno regime che producono per lo Stato royalties pari a 340 milioni di euro annui. La gran parte dei quali, come detto, saranno spesi per l’effettuazione del referendum…
“Le concessioni sine die – attacca Cinalli – sono vietate dall’Europa e quindi se la legge restasse così, l’Italia incorrerebbe in un’infrazione. Non solo, ma nella recente conferenza sul clima di Parigi, 200 Paesi compreso il nostro hanno firmato un impegno affinché la temperatura del pianeta non aumenti di più di due gradi fino al 2050: va detto che i combustibili fossili (petrolio e metano) sono i maggiori responsabili del riscaldamento della Terra. E’ vero che non sono previste nuove concessioni, ma nessuno dice che con questa legge vengono automaticamente prolungate, e per sempre, quelle già in essere. Non tiene nemmeno il discorso del fabbisogno energetico perché se fossero estratti tutto il petrolio e tutto il gas che si trovano nel sottosuolo italiano, basterebbero appena per 6 mesi. Si perderanno posti di lavoro? Probabilmente sì, ma la crisi attuale del petrolio ha già lasciato senza lavoro migliaia di persone. E non si dice che per ogni posto perso con i combustibili fossili, se ne creerebbero almeno due con le rinnovabili”. “Questo referendum – rincara la dose il professor Nascetti – riguarda il futuro del nostro pianeta. Occorre un’inversione di tendenza al nostro modello di sviluppo. La crescita infinita non è realizzabile. Io non sono per la decrescita felice, io penso invece che al nostro mondo serva una crescita intelligente. Gli scienziati non devono fare i politici, perché il loro mestiere è un altro, ma i politici devono tenere conto di quanto la comunità scientifica internazionale sostiene ormai praticamente all’unanimità: così non si può andare avanti. In Italia le risorse disponibili sono davvero pochissime e oggettivamente conviene lasciarle lì dove sono. Le attuali politiche dei cosiddetti Paesi industrializzati stanno portando alla distruzione il pianeta. Migliaia di specie animali e vegetali sono ormai sparite: siamo nella fase della sesta estinzione, la più famosa delle quali è quella dei dinosauri di alcuni milioni di anni fa. Vale davvero la pena continuare così?”.
No, professore, non ne vale proprio la pena.”Noi chiediamo di andare a votare e di segnare Sì sulla scheda”, scandiscono Nascetti e Cinalli. Ma siccome Viterbopost è un un giornale aperto, si attendono prese di posizione a favore del No. Buon referendum.