Le emergenze che affossano l’Italia: democrazia e rappresentatività
L’emergenza democratica è strettamente legata alla mancanza di certezze, i cittadini hanno l’impressione di una classe politica che “navighi a vista”. Mentre si concretizzano cambiamenti epocali, che generano incertezza, si sente la mancanza di una proposta politica capace di infondere sicurezza.
Il Governo guidato da Matteo Renzi, tra molte difficoltà, sta riuscendo a portare a casa la riforma del Parlamento, che sicuramente concorrerà a modificare l’attuale stallo. L’Italia ha bisogno di una classe dirigente in grado di elaborare una proposta politica capace di indicare il percorso sociale ed economico necessario a superare l’incertezza, che non è più di tipo congiunturale. Dobbiamo azzerare quel fatalismo che ci ha guidato per anni per cui l’incertezza veniva considerata contingente, convinti che in qualche modo e con l’aiuto di qualcuno la si poteva superare. Da non sottovalutare la conseguenza sociale causata da questo stato d’animo di incertezza, che rischia di approfondire sempre più il fossato che divide il popolo sovrano da coloro che siedono nelle Istituzioni e negli Organismi statali. I cittadini hanno preso coscienza che i diritti politici, grande conquista del secolo scorso, non sono più nelle mani del popolo ma in quelle di oligarchie finanziarie: basti ascoltare le dichiarazioni del Presidente americano Obama, per cui la democrazia è diventata uno strumento di facciata necessario per far eleggere, volta per volta, il gruppo dirigente designato dalla oligarchia finanziaria. Il problema vero è rappresentato dalle difficoltà che incontra questo gruppo dirigente designato ad attuare politiche capaci di garantire la giustizia sociale, fondamento di un sistema democratico basato sul suffragio universale. Molti cittadini sono giunti alla conclusione che la chiamata alle urne non avvenga più per conoscere l’opinione degli elettori ma per confermare o meno gli interessi di coloro che occupano posti di potere. Questa situazione, che sta degenerando, danneggia il nostro Stato democratico, allontana sempre più i cittadini dal partecipare alla competizione elettorale, che non è più considerata come cardine della vita democratica.
Accanto a quella democratica e ad essa legata a doppio filo, un’altra delle cinque emergenze che abbrutiscono l’Italia è quella rappresentativa. Al termine della seconda guerra mondiale il popolo italiano ha dimostrato una grande maturità democratica eleggendo coloro che erano rappresentativi, conosciuti, capaci di comprendere le esigenze delle famiglie: capaci, cioè, di proposte utili a costruire uno sviluppo unitario e solidale. Nel dopoguerra in piena società fordista la rappresentatività si è sviluppata all’interno del binomio capitale-lavoro. Nella società globalizzata il rapporto tra il capitale ed il lavoro si è modificato a vantaggio di un nuovo quadrilatero formato da capitale-lavoro-conoscenza-informazione, che ha favorito la società dei consumi. Quest’ultima ha creato la figura dell’occupato-consumatore che non rientra affatto nella logica sociologica delle classi. La nozione di occupato è di gran lunga più ampia del concetto di lavoratore in senso tradizionale e comprende tutte le larghe fasce di percettori di reddito, reddito da destinarsi al consumo dei beni, aumentati nel frattempo in numero e qualità.
Il limite della cosiddetta seconda repubblica è da ricercarsi nell’ipotetico bipolarismo, proteso alla continua ricerca di neocentrismo, in una società globalizzata, non più classista e in un contesto di politica monetarista. Tale scelta ha comportato politiche di carattere tecnocratico e non più popolare. Queste politiche hanno rallentato il processo di sviluppo delle categorie emergenti che chiedevano e continuano a chiedere il riconoscimento di un nuovo status socio-economico, anzi hanno quasi annientato la classe media. Le suddette trasformazioni sociali hanno modificato il concetto di appartenenza alla classe o alla categoria, per cui le Organizzazioni della rappresentatività politica, economica, sociale e sindacale appaiono all’iscritto o al militante non più capaci di rappresentare il proprio status sociale e la prima reazione si manifesta nell’isolamento, nella ricerca di soluzioni nel privato o all’interno di gruppi ristretti. Il calo di rappresentatività è dovuto in parte al cambiamento sociale e in parte al crescente numero di esponenti delle organizzazioni che hanno privilegiato l’interesse personale a quello della categoria rappresentata. Questo fenomeno si è accentuato con le Regioni, per cui la rappresentanza non viene più decisa democraticamente attraverso il sistema elettorale ma in forma oligarchica con nomine concertate a tavolino. Questo decadimento etico delle finalità generali da parte dei rappresentanti delle organizzazioni, ha reso più povero e confuso il confronto, con la conseguente perdita di consenso. L’incapacità di fare proposte politiche di interesse generale a vantaggio di provvedimenti settoriali e di interessi particolari, ha incrementato la sfiducia nelle istituzioni e la rottura del patto sociale preesistente.
Stefano Signori
Presidente di Confartigianato Viterbo