La Banca di Viterbo di fronte ad un bivio. Per carità, nulla che abbia a che fare con la solidità e l’affidabilità dell’istituto (l’unico peraltro rimasto a rappresentare autenticamente il territorio, dopo la cancellazione della Carivit) ma un passaggio burocratico – amministrativo che si rende necessario dopo l’approvazione in via definitiva da parte del Parlamento della riforma della banche di credito cooperativo. Si tratta di scegliere, e in via definitiva, come dovrà strutturarsi la banca in futuro. Su questo tema è chiamata a deliberare l’assemblea dei soci in programma il prossimo 14 maggio.
Non è facile spiegare in maniera semplice quali sono le due opzioni sulle quale dovranno confrontarsi i soci. Ci sono implicazioni di varia natura che impongono una riflessione seria. La prima strada è il cosiddetto “gruppo bancario cooperativo”, che costituisce anche il cardine della riforma. L’adesione a un gruppo bancario cooperativo è condizione per il rilascio dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria in forma di banca di credito cooperativo: in altre parole, chi non aderisce al gruppo bancario cooperativo non potrà più esercitare l’attività sotto forma di Bcc. La struttura prevede al vertice una capogruppo bancaria (una spa) con un patrimonio netto di almeno un miliardo; farebbero parte del gruppo sia le Bcc affiliate alla capogruppo attraverso un “contratto di coesione” volto ad assicurare l’unità finanziaria e di governance del gruppo nel suo insieme, sia le altre società bancarie, finanziarie e strumentali, diverse da Bcc e controllate dalla capogruppo. La legge individua direttamente alcuni contenuti minimi del contratto di coesione, che deve disciplinare, fra l’altro, i poteri di direzione e coordinamento della capogruppo sulle Bcc aderenti e la garanzia in solido delle obbligazioni assunte dalla capogruppo e dalle altre banche del gruppo. Ogni banca che sceglierà di aderire alla holding dovrà quindi sottoporsi al rispetto delle sue regole e quanto più una banca si dimostrerà solida, efficiente e dotata di una governance trasparente, tanto più saranno ampi i suoi margini di autonomia. A proposito dei poteri della società capogruppo, quest’ultima avrà la possibilità, in casi motivati, di nominare, opporsi alla nomina o revocare uno o più componenti degli organi di amministrazione e controllo delle Bcc aderenti al gruppo. Insomma, una realtà strutturata guidata da una banca molto forte intorno alla quale orbitano istituti più piccoli: ma questo non significa perdita di sovranità, piuttosto l’adesione ad una entità forte con regole precise.
Per le Bcc che non vorranno aderire alla holding, si propone una seconda opzione. Innanzitutto dovranno avere il requisito di oltre 200 milioni di patrimonio netto al 31 dicembre 2015 ed inoltre dovranno entro 60 giorni di tempo (a decorrere dal 15 aprile 2016) decidere, da sole o con altre più piccole, di fare istanza alla Banca d’Italia per conferire l’attività bancaria a una Spa. Va subito detto che la Banca di Viterbo non possiede il requisito patrimoniale richiesto e, in questa ipotesi, dovrebbe aderire insieme ad una banca di più grandi dimensioni. Ottenuto il via libera scatta il modello della cooperativa che partecipa al capitale della Spa, dopo il pagamento del 20% del patrimonio netto come tassa straordinaria (per la Banca di Viterbo si tratterebbe di pagare una tassa di circa 12 milioni di euro). Le riserve indivisibili resterebbero tali, in capo alla cooperativa, che dovrebbe comunque cambiare la sua mission sociale non potendo più svolgere l’attività bancaria a proprio nome e svolgerebbe di fatto le attività di una Fondazione bancaria. E’ previsto anche il diritto di recesso dalla holding, per chi volesse uscire in un secondo momento. A quel punto sarebbero però consentite solo la liquidazione o la trasformazione in spa della Banca, perdendo comunque le riserve. I riflessi sul personale sarebbero rilevanti in quanto avrebbe probabilmente bisogno di essere ricollocato più del 30% dei dipendenti della banca.
Non è difficile notare che per l’insieme di condizioni poste, la riforma cerca di privilegiare la prima possibilità ed è anche quanto a gran voce ha chiesto l’assemblea di tutto il personale della Banca di Viterbo, indetta dalla Rsa della Fisac-Cgil in collaborazione con Ugl. Un’assemblea molto partecipata con la presenza di oltre il 70% dei dipendenti e caratterizzata da decine di interventi. “L’orientamento dei dipendenti – si legge in una nota – è stato pressoché unanime a favore dell’adesione al Gruppo Bancario Cooperativo non solo per le maggiori garanzie che ciò comporterebbe sul piano occupazionale, ma anche perché permetterebbe di mantenere il legame storico della banca con il territorio viterbese che, in caso contrario, perderebbe l’innegabile supporto sino ad oggi prestato al suo tessuto economico dall’unica banca locale rimasta”. I dipendenti della Banca di Viterbo concludono auspicando che “nel prendere la propria decisione, il consiglio di amministrazione vorrà tenere in debito conto la loro volontà e che anche i soci, nell’assemblea del 14 maggio vorranno continuare a mantenere in vita questa realtà che è al servizio dell’economia viterbese ormai da 105 anni. Una realtà che è sana e patrimonialmente solida, come sempre evidenziato dai vertici della banca stessa”.