21112024Headline:

Turismo? Prendere esempio da Volterra

La piccola cittadina toscana ha saputo costruire un'economia sfruttando quello che ha

Uno scorcio di Volterra

Uno scorcio di Volterra

Il turismo in Toscana: puntata numero 2. Cioè tutto quello che fanno (e che funziona) a poche decine di chilometri dai confini della Tuscia e che qui da noi non si è mai fatto per decenni. Qualche giorno fa s’era parlato su queste stesse colonne di come il trenino della linea Volterra – Cecina (che non è esattamente un Frecciarossa) sarà utilizzato nelle prossime settimane per una forma di turismo molto slow, basato sulla conoscenza degli etruschi, dei romani e sulle orme di quanto scritto da Carlo Cassola. Inevitabile il paragone con la Viterbo – Civita Castellana – Roma, che sta lentamente morendo con servizi sostitutivi di autobus e con prestazioni che non riescono a soddisfare neppure le più elementari esigenze di viaggiatori e pendolari. Figuriamoci l’ipotesi di usare quel treno e quella tratta come veicolo promozionale… Da queste parti, purtroppo, è pura fantascienza.

Vale la pena, dunque, rimanere a Volterra, diecimila abitanti circa, in provincia di Pisa. Cittadina che è quindi 6 volte più piccola di Viterbo, tanto per lasciare focalizzata l’attenzione sul capoluogo, visto che la situazione (fatta salva la lodevolissima eccezione di Civita di Bagnoregio) è abbastanza simile negli altri comuni del Viterbese. Centro storico carino, caratteristico ma nulla di più, anzi qualcosa in meno rispetto al quartiere di San Pellegrino. Molta pulizia, molta cura dei particolari, tantissime botteghe artigiane dove si vendono manufatti realizzati con la pietra tipica di quella terra: l’alabastro. Che il sindaco Michelini, in quanto ingegnere minerario, conosce certamente molto bene.

Una sala dell'Ecomuseo dell'alabastro

Una sala dell’Ecomuseo dell’alabastro

Tanta gente anche in un freddo sabato di fine inverno. Un vento fortissimo attraversa vicoli e stradine, ma il movimento non ne risente. Subito due particolarità balzano agli occhi dell’ignaro visitatore: il centro è rigorosamente chiuso al traffico e, nelle zone circostanti, insistono diversi parcheggi (anche al coperto) dove si può lasciare l’auto e arrivare nelle zone di interesse nel giro di 5 minuti al massimo. I parcheggi sono a pagamento (1,80 euro l’ora, 15 euro tutto il giorno), ma i soldi sono ben spesi per una serie di ragioni: innanzitutto la sosta è regolamentata, poi l’estrema vicinanza con il centro e infine la rigida osservanza delle regole, fatte rispettare dalla polizia locale, presente in maniera costante in tutti i varchi di accesso. Insomma, non si sgarra. Ed è giusto che sia così se davvero si vuole preservare il centro e riservarlo allo shopping, allo struscio e alla visita. La popolazione locale, e soprattutto i commercianti (tantissimi e di ogni categoria) non solo non si ribellano ma accettano di buon grado la chiusura al traffico: chi vuole (turista o autoctono), lascia la macchina al parcheggio e poi procede a piedi. tanto si parla di qualche centinaio di metri al massimo.

All’ignaro visitatore balza agli occhi anche una perfetta segnaletica in italiano e in inglese, quello classico, non il rozzo tentativo di piegarlo alla lingua italiana. E fra i cartelli indicatori spicca quello dell’Ecomuseo dell’alabastro. E che sarà mai? Vale la pena farci una scappata, tanto non si paga perché con un unico ticket si possono visitare la pinacoteca e museo. La struttura è stata inaugurata nel 2003, insieme a quelle gemelle di Castellina Marittima e Santa Luce; in particolare, l’area di Volterra è dedicata alla “storia della lavorazione dell’alabastro dagli etruschi ai nostri giorni – si legge nella presentazione – attraverso un originale viaggio tra gli aspetti tecnici e materiali (il reperimento della pietra e le tecniche di lavorazione), i caratteri stilistici (le forme decorative e i modelli di riferimento), i risvolti economici e sociali (il mercato dell’alabastro e la sua diffusione, la vita dell’alabastraio e l’attività di bottega)”. Perfetta la location: la medievale Torre Minucci, esattamente al fianco della pinacoteca. Da ammirare in particolare due cinerari in alabastro di epoca etrusca, due capitelli che rappresentano gli unici esempi di lavorazione di alabastro nel Medioevo, una raccolta di pregevoli sculture del Settecento e Ottocento, una selezione di medaglioni in alabastro opera di Albino Funaioli e alcune opere dell’artista volterrano Raffaello Consortini.

volterraOra, un paragone, anzi una domanda viene spontanea (come diceva quello lì…): si potrà mai ipotizzare un Ecomuseo del peperino qui a Viterbo? Auspicabile, ma in tutta sincerità difficilmente realizzabile. Si pensi a quante volte e da quanto tempo si parla del Museo dedicato alle Macchine di Santa Rosa (l’autentico simbolo della Città dei papi) senza che la faccenda abbia avuto una degna conclusione.

E la Pinacoteca? Beh, a dire la verità una visita la merita tutta. Si possono ammirare, in un percorso razionale, opere di varie epoche, in particolare del primo Rinascimento italiano (Ghirlandaio, Luca Signorelli e altri maestri di levatura mondiale). Il costo complessivo del biglietto di ingresso è di 8 euro a persona in vigore da quest’anno e quindi probabilmente fino al 2015 costava anche meno (con sconti e riduzioni per varie tipologie di visitatori), ma si può acquistare anche la cosiddetta “Volterra Card” che ha validità di 72 ore e che costa 14 euro a persona (anche in questo sono previsti sconti e forti riduzioni per gruppi, gite scolastiche). Un’ultima annotazione: in una strada del centro storico lunga non più di 200 metri, si contano una ventina di market dell’alabastro e un numero incalcolabile di bar, pub, ristoranti tipici, punto di ristoro, tutti all’insegna del “Tuscany food”.

La conclusione? Molto semplice: da quelle parti sanno fare turismo e, sfruttando una sinergia seria tra tutte le categorie pubbliche e private, ci hanno costruito una fiorente economia. Meditate, gente, meditate…

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