Ma quanto è “comunista” Papa Francesco? Nemmeno per idea: né marxista-leninista, né conservatore ad oltranza. Semplicemente interprete fedele del Vangelo. E le critiche, anche feroci, che si è attirato con le sue prese di posizione in materia economica sono immotivate e non supportate da argomenti validi. Giacomo Galeazzi, vaticanista de “La Stampa”, sul tema ci ha scritto (insieme ad un’altra autorevole “penna” del quotidiano torinese, Andrea Tornielli) un libro dal titolo emblematico: “Questa economia uccide”. Se ne parla nella sala Alessandro IV del Palazzo dei Papi, nell’ambito della prima edizione di Jubilate, il contenitore invernal-primaverile emanazione della sorella maggiore Caffeina, programmata come al solito per i primi giorni dell’estate. A sollecitare l’ospite, il giornalista Fabio Bolzetta di Tv2000, sotto la guida di PierLuigi Vito, responsabile della parte letteraria della manifestazione, oltre che presidente dell’Azione cattolica provinciale.
E allora com’è questa storia di un pontefice convertito al comunismo? “E’ la posizione espressa anche con durezza – spiega Galeazzi – dai Tea party e dai Teocon, cioè i circoli ultraconservatori americani. Ma sono critiche infondate per due ordini di motivi: il primo è che arrivano dagli stessi che accusavano l’allora arcivescovo di Buenos Aires di essere un pericoloso estremista; il secondo è che questi intellettuali sono intransigenti per esempio sul temi della bioetica, e liberisti al massimo in campo economico”. Una qualche contraddizione in effetti appare piuttosto lampante. E invece chi è davvero e quali posizioni esprime papa Bergoglio? “Vangelo e solo vangelo. La stella polare di Francesco è il concilio, applicato alla lettera, così come faceva quando era vescovo in Argentina. E lui è il primo pontefice a non aver vissuto direttamente il concilio, essendo stato ordinato sacerdote solamente nel 1969”. Da questo solo apparente controsenso derivano le posizioni espresse con ampiezza di particolari nel libro di Galeazzi e Tornielli attraverso un’intervista “in cui – rivela l’autore – ha risposto a tutto a braccio, magari usando anche parole di cui in seguito si è pentito”. “Il papa – aggiunge Galeazzi – incarna in modo chiaro la dottrina sociale della Chiesa (‘la meno conosciuta’, diceva don Bosco): nessuna novità, nessuno sconfinamento. Era stato già Pio XI a sostenere che l’economia, quando diventa finanza, uccide. E Benedetto XVI, brillantissimo teologo, aveva chiesto ben prima di Bergoglio l’istituzione di un’autorità mondiale che fosse in grado di controllare e regolare l’economia”.
In estrema sintesi Francesco contesta che cosa? “Il papa non è contro l’economia, ma contro questa economia. Per la quale è molto più importante un punto in più in Borsa che non una carestia che uccide centomila persone in Africa. Oggi funziona ed è largamente condivisa la teoria del bicchiere pieno: quando è così colmo, il liquido deborda e scende giù in modo che anche chi sta sotto possa riceverne qualche goccia. Per Bergoglio non può funzionare così: no all’esclusione, sì all’equità. E in ogni angolo del mondo. Lui non è contro la ricchezza, che invece è necessaria per produrre benessere e occupazione, ma contro una distribuzione disomogenea che dà tanto a chi ha tutto, e pochissimo a chi non ha niente. Non a caso ricorda sempre quello che gli diceva la nonna quando era bambino: il sudario non ha tasche. Cioè è inutile accumulare tanto in vita: quando si muore, non ci si porta appresso nulla”.
Ma c’è un aspetto tutt’altro che secondario che non sfugge al pontefice: l’esempio. “Non si può parlare male dell’economia e poi comportarsi – sottolinea Galeazzi – da capitalisti. E il primo ad essere coerente è proprio lui che va a cambiare le lenti, ma non la montatura, che paga di tasca sua il soggiorno pre-conclave a Santa Marta. E non è ‘marketing della fede’: lui faceva così anche a Buenos Aires dove pure si trovò da semplice figlio di un ragioniere ad essere il referente del Fondo monetario internazionale dopo il terribile default argentino del 2001, quando tanti benestanti si ritrovarono da un giorno all’altro ad essere ‘cartoneros’, cioè gente che dorme per strada coperta solo di cartoni…”. E questa è caratteristica essenziale del papato di Bergoglio. “Lui vuole vivere la sua condizione di vicario di Cristo stando dentro le cose, magari anche sporcandosi le mani. La sua è una chiesa orizzontale in cui ogni vescovo è papa nella sua diocesi. Non è affatto casuale che si autodefinisca vescovo di Roma, uguale agli altri sparsi in ogni angolo del pianeta. E il governo della Cristianità non emana da Roma, ma è vero piuttosto il contrario: il Vaticano raccoglie e indirizza gli input che arrivano dall’esterno, cioè dalla Chiesa diffusa sul pianeta”.
L’altro tratto caratterizzante di Francesco è la straordinaria capacità comunicativa. “Non pensate – conclude Giacomo Galeazzi – che sia andato a scuola di comunicazione o che ci sia uno stuolo di ‘spin doctor’ che gli suggeriscono che dire e come dirlo. Lui è naturalmente così. Con un approccio diretto senza girare intorno alle cose, che è proprio della formazione dei Gesuiti. E soprattutto semplificando concetti anche complessi. Spazia dall’economia alla geopolitica con una naturalezza disarmante e lo fa in modo spontaneo appoggiando il braccio sulla spalla dell’interlocutore quasi a stabilire un contatto fisico. Un contatto che diventa complicità, che semplifica i rapporti, che provoca una naturale distensione. Il papa non esce mai da una stanza senza aver salutato uno per uno tutti i presenti. Tecnicamente si può definire una comunicazione ‘calda’, non fredda né tanto meno mediata”. Ecco perché le parole di Francesco arrivano al cuore e alla mente di chi lo ascolta. Anche se non crede.