Nel Lazio chiude una stalla ogni 3 giorni (fonte ARAL). Dai 1.413 allevamenti di bovini da latte del 2014 siamo passati ai 1.310 del 2015, con una contrazione del 7,29%. In provincia di Viterbo le aziende sono scese da 124 a 113. Il dato confortante è la tenuta della produzione della filiera zootecnica. Il quantitativo di latte prodotto nella nostra regione, infatti, si è mantenuto sostanzialmente invariato (dalle 321.864 tonnellate del 2014 alle 321.307 dell’anno scorso) come stabile resta anche il dato di Viterbo che si attesta sulle 45mila tonnellate annue. È migliorato invece il dato regionale relativo al latte prodotto per azienda che passa, a distanza di un anno, da 1.243 a 1.335 tonnellate.
Una performance non casuale, ma piuttosto conseguenza degli investimenti sostenuti dagli allevatori che, per sopravvivere alla crisi generata dal crollo del prezzo del latte all’origine, hanno incrementato il numero dei capi di bestiame. In Italia nel solo 2015 hanno chiuso oltre mille stalle. Nella nostra regione, prima della crisi, si contavano 5.000 aziende e il triplo dei posti di lavoro. Quelle sopravvissute, senza un congruo adeguamento del prezzo del latte alla stalla, rischiano di chiudere entro l’anno. I compensi agli allevatori hanno subito una riduzione fino al 30% rispetto allo scorso anno e si attestano su valori addirittura inferiori a quelli di venti anni fa. Nel 2015 il valore finale distribuito ai produttori all’interno della filiera è sceso dal 17 al 14%.
“Un litro di latte all’origine – ricorda il presidente della Coldiretti di Viterbo Mauro Pacifici – viene pagato mediamente 0,34 centesimi. Lo stesso litro viene rivenduto ai consumatori a una media di 1,50 centesimi”. A penalizzare il latte di qualità prodotto a Viterbo e nel Lazio sono anche le importazioni. “A fronte di una produzione nazionale di 110 milioni di quintali di latte importiamo latte dall’estero per altri 85 milioni di quintali. E anche questo latte – aggiunge il direttore della Coldiretti di Viterbo Alberto Frau – viene spacciato per italiano perché manca l’obbligo di indicare in etichetta l’origine della materia prima. Oggi i consumatori non possono sapere da dove arriva il latte a lunga conservazione in vendita al supermercato, ma neanche l’origine di quello impiegato per confezionare yogurt, latticini e formaggi”.