La nuova forma di democrazia coloniale che, a differenza delle democrazie coloniali del passato, funziona grazie alle “politiche di default”, attraverso l’introduzione di una rete di automatismi giuridici, logistici, mediali che saltano completamente le regole giuridiche e politiche dell’amministrazione pubblica del territorio rappresenta un forte rischio sociopolitico. Ci si legittima per procedure giuridiche, si costruisce tutta una legittimità completamente interna a queste procedure, e poi si rovescia il tutto nei confronti delle popolazioni prescelte.
Le politiche di governance attuate fino ad oggi se da una parte hanno permesso la libera circolazione delle merci e dei capitali, dall’altra hanno anche fatto emergere una serie di discrasie che rischiano di mettere in crisi le società occidentali; se da una parte la competitività delle merci prodotte nei Paesi in via di sviluppo riduce la domanda di lavoro nei paesi sviluppati, dall’altra l’emigrazione dal Sud al Nord del mondo fa aumentare l’offerta di lavoro. Entrambi i processi contribuiscono a far cresce l’esercito di riserva e quindi ad abbassare il salario, anche nei paesi occidentali. Gli effetti di questi mutamenti inevitabilmente ricadono anche sulle economie dei singoli Paesi che devono far fronte a degli squilibri interni che mettono alla prova le realtà produttive locali.
Paradossalmente nella globalizzazione si concretizza un fenomeno sociale nuovo rispetto alle vecchie forme di neocolonialismo: lo sfruttamento dei Paesi in via di sviluppo è funzionale all’arretramento dello stato sociale nei paesi occidentali. In nome della democrazia l’Occidente ha scatenato guerre militari in Afghanistan, Iraq, Yemen, Libia e Siria distruggendoli come stati nazionali. In nome della democrazia l’Occidente ha scatenato guerre intestine in Tunisia, Bahrain, Territori palestinesi e Egitto, destabilizzando i Governi nazionali e mettendo a repentaglio l’ordine pubblico con un pesante bilancio di vittime e danni, a beneficio degli estremisti islamici. A nessuno piacevano Saddam, Gheddafi, Ben Ali e Mubarak, ma non si può non prendere atto che le guerre scatenate nel nome della democrazia e dei diritti dell’uomo hanno distrutto Stati che comunque garantivano un livello accettabile di sussistenza, riducendo in povertà le popolazioni e consegnandole alla follia sanguinaria dei terroristi islamici.
In questa fase come Occidente ci troviamo ad affrontare le migrazioni di qualche milione di cittadini afro-asiatici che sfuggono alle guerre e alcuni dalla fame, ma nel prossimo futuro, se non cambiano le attuali politiche di governance speculativa a vantaggio di nuove politiche di governance economiche, come Europa ci troveremo ad affrontare migrazioni di decine di milioni di persone. C’è da chiedersi se lo scheletro europeo possa sopportare e contenere gli scossoni politico-economici che tali migrazioni causerebbero.
Stefano Signori
Presidente di Confartigianato Viterbo