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“Perché l’Europa non sa essere unita”

Le riflessioni di Stefano Signori (Confartigianato) dopo un viaggio a Bruxelles

La sede del Parlamento europeo

La sede del Parlamento europeo

Di ritorno da un viaggio a Bruxelles, durato alcuni giorni durante i quali alcuni esponenti di Confartigianato sono stati ospitati dal Parlamento Europeo, è stato inevitabile intraprendere una lunga riflessione in merito al nostro continente, frutto anche di un lungo confronto con molti ideali, idee e opinioni, tutte quante scaturite dalle  continue riflessioni su questa nostra Europa influenzata anche dalle idee (e dagli umori) delle anime dei Paesi membri, a cui si aggiungono le informazioni  veicolate dai media italiani. Una riflessione sull’Europa, quale entità politica, non può escludere il lavoro di diverse generazioni di giornalisti che lavorano nelle emittenti, che vivono di carta stampata ed elettronica, opinionisti che hanno iniziato a discutere e scrivere di “Europa” già nei lontani anni ’70 (probabilmente animati all’epoca anche da ideali politici) di quell’obiettivo di unione il cui movente principale sembrava allontanare nuovi conflitti europei. Il cittadino comune che, come chi scrive, è più spettatore che attore, ha potuto realizzare quasi soltanto quarant’anni dopo l’incapacità totale dei governi coinvolti nel grande progetto europeo. Incapaci prima di siglare definitivamente una costituzione comune e poi rispettarla, nella completa latitanza di cultura politica comune. Certo i trust bancari e le lobbie finanziarie e mafiose ne hanno tratto profitto, sguazzando nella melma dei dna diversi e immodificabili di stati incollati tra loro superficialmente, alcuni riluttanti a perdere la propria piccola corona per immaginarne una più grande, autorevole e condivisa, altri assolutamente arretrati o indisciplinati e poco avvezzi alla pratica riformista. In questo pot-pourri di anime, l’Italia non aveva e non ha tuttora regolato i propri conti in sospeso e le proprie contraddizioni, dagli anni di piombo a quelli di Berlusconi, sempre disordinata da velocità scomposte, picchi di eccellenza e derive da terzo mondo.

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi

Ma il fallimento europeo non è fondato solo sull’inadempienza e sulle falle dello Stivale. Nella corsa alla realizzazione di questo progetto ambizioso ci si è dimenticati di costruire una milizia comune – quella, per intenderci, con la quale nel bene e nel male gli americani affrancano da oltre due secoli la federazione dei loro 50 stati – e non si è neppure riusciti ad imbastire protocolli condivisi e fondamentali come quello sul lavoro, figuriamoci sull’emergenza migranti. L’Europa unita tira su muri e fili spinati, ristabilisce frontiere non culturali ma di territorio, è lacerata dall’ignoranza di figli che non sanno nulla né della patria natia né di quella nuova e raccogliticcia di cui solo pallidi slogan televisivi ogni tanto fanno menzione. L’Italia di suo, che non ha mai risolto gli assurdi scompensi tra nord e sud, governo centrale, mafia e vaticano, è patria mondiale della corruzione, dell’economia occulta e parallela, dell’individualismo più spinto, della mano che lava l’altra, del pressapochismo, di gente che a Bolzano non parla l’italiano per scelta e a Campobasso perché ignora la lingua nazionale.

Come illudersi che il DNA del nostro Paese, raccontato con lucidità da Malaparte a Pasolini, passando per l’ironia pungente di Sordi, possa interagire con inglesi che fanno parte dell’Europa unita ma non ne condividono l’unico collante – la moneta -; con francesi che eliminando Gheddafi scatenano il vespaio che conosciamo; con tedeschi che riescono ad imporre la propria nuova egemonia, occultando al mondo un debito pubblico di cui pochi sanno ed un welfare che per il lavoratore singolo pare sia disastroso. Se per il nuovo secolo economia e finanza – con le bolle speculative e gli artifici di gestione che conosciamo – sono centrali rispetto al concetto di polis, almeno questa Europa avrebbe dovuto sapersene servire per affermare la crescita, per contrastare i mercati emergenti, per avere dignità internazionale. Se da un Paese all’altro, a distanza di 5 km, nelle Fiandre come in Puglia, la lingua cambia ed il senso profondo di appartenenza ad una piccolissima comunità crea diversità e barriera, se la Scozia come il Triveneto pensano ancor oggi al “loro” federalismo, se 6 milioni di arabi, francesi da due generazioni, continuano a non riconoscere la legittimità della laicità e a sentirsi – e a essere considerati- scomodi, dobbiamo aspettarci che i blandi e retorici “provvedimenti” di Bruxelles ridisegnino improvvisamente l’essenza di quella identità comune che finora non si è vista, figuriamoci sentita?

Stefano Signori

Presidente di Confartigianato Imprese di Viterbo

 

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