Appena i confronti sono diventati di livello più alto, il calcio italiano ha mostrato tutti i suoi limiti. Allo stato dell’arte, in Europa ci resta solo la Lazio, mentre sono ancora in ballo (almeno in teoria) Juventus e Roma, chiamate ad autentiche imprese, meglio miracoli, per cercare di restare in corsa.
Vale la pena interrogarsi sulla reale qualità di un campionato che continua ad essere impropriamente definito “il più bello del mondo”. Ma se così fosse davvero, non si assisterebbe alla debacle continua in Europa dei nostri club, anche di quelli che sono abituati a fare la voce grossa in Italia. L’anno scorso, a salvare la faccia alla pelota nostrana, ci aveva pensato la zebra, favorita anche da una serie di sorteggi abbastanza favorevoli. E questo va detto per onestà. Quest’anno, il rischio concreto è che dopo il primo turno ad eliminazione diretta, resti una sola squadra, la Lazio (che peraltro è attualmente ottava in classifica) a difendere l’onore italico.
Perché? Qualche tempo, la risposta era arrivata da uno che il calcio lo mastica ai livelli più elevati da una quarantina d’anni: Fabio Capello. “Il campionato italiano non è allenante”, sentenziò la mascella più volitiva della storia. Sacrosanto, ma non basta perché ci portiamo dietro ritardi gravissimi che alla fine pesano come macigni quando si tratta di allestire formazioni competitive anche fuori dai domestici confini. Innanzitutto, la questione stadi: gli inglesi hanno svoltato da quando tutti i club più rappresentativi sono diventati proprietari degli impianti. Pienoni costanti, merchandising alle stelle, introiti aumentati a dismisura. Questo ha significato attirare capitali esteri copiosi. Alla fine al tifoso che il presidente sia il commendator Brambilla o un magnate dell’Estremo Oriente interessa pochissimo: l’importante è vincere. E ai risultati si arriva attraverso la programmazione, gli investimenti e il gioco sul prato verde. Non è un problema di tecnici perché i nostri sono quotatissimi: è un problema di mentalità.
Il secondo riguarda i giovani. Ce ne sono di bravi e bravissimi anche da noi, ma raramente giocano in serie A. Donnarumma, esordiente nel massimo campionato a poco più di 16 anni, è una mosca bianca. Ci vuole coraggio a farli giocare e una prestazione o un errore non devono costituire l’alibi per tornare immediatamente all’usato garantito. Il terzo aspetto di fondo riguarda il ritmo: tutte le squadre straniere hanno una marcia in più. Solo in Spagna, forse, si gioca con le nostre stesse cadenze, ma con una tecnica di base decisamente più alta. Negli altri paesi calcisticamente evoluti, corrono di più e ci mettono soprattutto maggiore intensità. Che è esattamente l’arma che ha permesso alla Juventus di rimanere in vita contro il Bayern dopo un primo tempo in cui l’unico obiettivo era quello di restare inchiodati sullo 0-0. Sotto di due gol, a qualificazione ormai compromessa e visto che ormai non c’era più nulla da perdere, finalmente la reazione e il pareggio che almeno permette di coltivare una qualche speranza di passare il turno. Per la Roma è ancora più buia: vincere a Madrid contro il Real segnando almeno tre gol è impresa più che titanica.
Infine, il peso internazionale della nostra federazione. Che è praticamente nullo. Non si chiedono favori o aiutini, ma semplicemente quello che spetta: l’arbitro Atkinson ha maltratto la Juve (come aveva fatto quell’incapace di Cakir nella finale di Champions contro il Barcellona) e le altre squadre possono ugualmente e giustamente lamentarsi. Ma come si può pensare di contare se la Figc è rappresentata da un signore punito dalla stessa Uefa per frasi razziste? Un signore che la giustizia sportiva italiana aveva ignobilmente assolto… No, il nostro non è il campionato più bello del mondo. E’ solo il più polemico, rissoso e astioso di tutti.
Buona domenica e buon calcio, comunque, a tutti.