Uno dei gravi problemi che affliggono la nostra contemporaneità socio-economica e politica è certamente rappresentato dall’accaparramento delle terre nel mondo da parte di aziende di stato, multinazionali, hedge funds.
La geopolitica non può prescindere da queste considerazioni e da un’attenta analisi del fenomeno della “food security”. I “compratori” elargiscono denari e promesse di ammodernamento; assicurano che porteranno lavoro, irrigazione, tecnologia. Nessuno però è in grado di monitorare che lo facciano realmente e, peggio ancora, non ci sono strumenti coercitivi né sanzionatori in caso di inadempienza.
Il mondo non ha ancora preso una posizione univoca sull’accaparramento delle terre (“land grabbing”): una nuova forma di imperialismo agricolo e di nuovo colonialismo, realizzato non più con gli eserciti o i golpe pilotati ma attraverso il controllo della produzione alimentare. Da non sottovalutare, nel medio tempo, il pericolo di perdita di biodiversità e il rischio che le popolazioni autoctone vengano condannate alla fame per affitti da pochi dollari l’ettaro.
Occorre far rispettare le policies concordate durante il “Forum di Selinguè”, svoltosi a Mali nel 2007, riguardo alla sovranità alimentare. Il documento in questione sancisce il principio per cui “il diritto derivante da un contratto di land grabbing non può essere fatto valere davanti a un tribunale e riafferma la priorità dell’accesso alla terra per le famiglie dei piccoli contadini rispetto ai colossi dell’agrobusiness”. Si riafferma, in altre parole, il principio di salvaguardia delle piccole realtà produttive familiari, microcosmi imprenditoriali che noi conosciamo bene e che da sempre, come Confartigianato, tuteliamo e promuoviamo in quanto garanzia del benessere della micro e macro economia.
Gli aiuti economici ai vari Paesi in via di sviluppo dovrebbero favorire il consolidarsi di una piccola borghesia necessaria al decollo di un sistema democratico popolare. Purtroppo, però, dallo studio delle condizioni dei vari Paesi in via di sviluppo emergono chiaramente le difficoltà che la democrazia popolare incontra. La maggior parte di questi Paesi, infatti, è governata da gruppi collegati agli investitori internazionali. Se si analizzano i comportamenti di queste classi dirigenti, emerge chiaramente come costoro abbiano comportamenti che non hanno niente più a che fare con il popolo che rappresentano. Si tratta di espressioni della nuova società che avanza, che ha diviso in modo netto la popolazione in due classi distinte e separate, quasi inconciliabili tra loro: una classe elitaria abituata ad operare a livello mondiale, detentrice dei simboli e delle conoscenze necessarie a far funzionare la società dell’informazione ed il mercato globale, e un sempre crescente numero di lavoratori ed imprenditori in eccesso con poche speranze di trovare una occupazione stabile nella nuova economia globale ad alta tecnologia.
Stefano Signori
Presidente di Confartigianato Viterbo