Quella che segue è una storia complessa. Che, per capirci qualcosa, va letta dalla fine. Siamo in Alta Tuscia. Nelle “piane” verdi che si trovano affacciandosi da Latera. Un’immensa vallata che divide il borghetto arroccato da Valentano, da Ischia, da Farnese. Per geolocalizzare il tutto, si può serenamente far riferimento al delizioso lago vulcanico di Mezzano. Attraversando l’area in auto, oltre ai pascoli, al bosco e alle stradine di campagna, si nota qualcosa che stona. Che stacca prepotentemente rispetto al complesso bucolico globale. Da un lato si ergono tre ettari abbondanti di serre. Recintate, in pianura. Dall’altro invece, sul cucuzzolo, spicca un’enorme ciminiera, accompagnata da ulteriori strutture mastodontiche in muratura. Le due entità sono collegate da grandi tubi verdi. Centinaia di chilometri di serpentone, in parte anche interrato. Unendo il sotto col sopra, si ottiene la centrale geotermica di Latera. Abbandonata da oltre dieci anni. Un eco-mostro voluto dall’uomo, che via via sta nuovamente lasciando spazio al ritorno del verde. Rovi e piante spontanee si stanno riprendendo quanto concesso, con relativi interessi.
Detto ciò, si può raccontare di un passato doloroso e forse scellerato.
La Caldera di Latera (il nome si rifà alla natura vulcanica del luogo) è stata oggetto di un progetto di ricerca geotermica congiunto Enel-Agip.
Si è partiti con la perforazione di diversi pozzi, nei primi anni ’80. L’opera è poi progredita con l’individuazione del campo geotermico e nella successiva fase di costruzione, che ha portato Latera a diventare un progetto pilota su scala mondiale. Sì, la prima centrale a ciclo binario risiede proprio qua, nel viterbese. Attiva (si fa per dire) dal ’99.
Inutile sottolineare il difficilissimo processo di trasformazione. Semplicemente va spiegato che attraverso le acque calde (nove pozzi, scavati fino a 2500 metri), i vapori annessi, il loro utilizzo “intelligente”, l’intento era quello di produrre ben 45 megawatt di energia elettrica.
Peccato però che, come detto, il progetto fosse “pilota”. Privo di un sistema di abbattimento dei gas inquinanti, sputati in aria ad ogni perforazione. “Che, ricadendo – racconta un agricoltore del posto – seccavano centinaia e centinaia di metri di terreno. Incredibile”.
Il braccio “verde” di Enel, la Erga, spiegò poco dopo il taglio del nastro ed i relativi mal di pancia, che si stava studiando un sistema per abbattere i suddetti gas. Che, per intenderci, sarebbero acido solfidrico, mercurio, boro e arsenico. In un contesto dove si procedeva alla giornata. Trattandosi di “un’applicazione che non c’è, e che quindi va sviluppata in maniera progressiva”.
Come andarono avanti le cose? Il 22 luglio ’99 una nube tossica colpì addirittura Montefiascone (va’ dove ti porta il vento). In diversi finirono in ospedale. E le perplessità iniziali si trasformarono in protesta. Con tanto di comitati, di pareri internazionali, di scontri politici. Che culminarono nel marzo del 2002, in un clima di “oggi siamo aperti, domani chiusi, dopodomani chissà”. La produzione il 26 marzo venne interrotta. Poiché “i costi per adeguarla erano eccessivi e non giustificavano il suo mantenimento operativo per scarsa remuneratività”. Si andò perfino a processo (oltre che in Parlamento), ma la patata bollente passò in secondo piano: tutti assolti e nessuno soddisfatto.
E rieccoci ad oggi. Con una cattedrale nel deserto che si fa finta di non vedere. E con una quantità infinita di serra che, oltre a marcire (sono in vendita, ma chi se le compra?), avrebbero dovuto assicurare lavoro a molte persone.
Venti anni di studi. Opere messe in piedi, ritirate giù e rifatte di nuovo. Chilometri e chilometri di campi deturpati. Atmosfera danneggiata gravemente. E certezza assoluta che le cose rimarranno tali, in eterno. Nessuno ripristinerà mai nulla.