“Camminante non c’è strada, si fa strada camminando”. Recitava queste parole il poeta Antonio Machado. Sintetizzando, in quattro battute, un universo intero nel quale si mescolano dolcemente filosofia, rispetto del prossimo, amore, fatica, piccole cose e altri deliziosi ingredienti.
La figura del pellegrino, in fin dei conti, è tanto storica quanto poco ingombrante. Basta di avere un paio di scarpe, e di metterle in moto, per comprendere in quattro e quattr’otto che il mondo può essere visto da una prospettiva inedita e privilegiata.
Così anche Viterbopost ha deciso di impugnare le racchette e di uscire in strada. Rigorosamente sterrata. Seguendo quei pazzi di Percorsi etruschi, che ogni santa domenica fanno da guida (con professionalità e delicatezza) agli avventori che vogliono conoscere la Tuscia più nascosta.
La tappa della settimana appena messa in cassaforte, una decina di chilometri in saliscendi, si è snocciolata sul versante teverino della provincia. Appuntamento a Bomarzo, caffè, e prima scarpinata verso la fatidica piramide.
Qualcuno la chiama “etrusca”. Altri giurerebbero che l’enorme roccia intagliata sia lì da sempre. C’è poi chi la vede come un osservatorio astronomico, chi come un altare religioso, chi a mo’ di sommità preposta ad eventuali rituali. La verità è che non è stata ancora studiata. Se ne sa poco. Ma ciò nonostante il suo fascino colpisce qualsiasi persona se la trova davanti. Inevitabile è pertanto salire sulla sua sommità. Ammirare il panorama. Respirare un po’ d’aria buona. E riscendere per proseguire la marcia.
Appresso, tra forre scavate nel tufo e tappeti di foglie autunnali, spuntano vecchi mulini. Venivano raggiunti da asini carichi di olive e grano, lungo un serpentone scavato un poco dai passi e un po’ dall’uomo.
Il fiume fa da cornice, il verde ha avvolto ogni cosa. E si fa fatica a pensare che fino a 150 anni fa, lì sotto Chia, c’era vita. Si procedeva, seppur con lentezza.
Ed infine si arriva laddove tutto ha inizio. Alla cascata. Al suo rumore morbido e costante che fece innamorare Pier Paolo Pasolini. Lo scrittore, ma anche poeta, drammaturgo, sceneggiatore, giornalista, e più di ogni altra cosa pensatore, si ritirò da quelle parti. Acquistando un castello diroccato, risistemandolo, chiudendosi nei silenzi assordanti della vegetazione e premiando l’area con pellicole quali “Il Vangelo secondo Matteo”.
L’orologio rintocca le 16. È tempo di rientrare. Di salutare i compagni casuali, che forse mai più si ritroveranno.
“Le semplici cose se le divora il tempo”, cantava Chavela Vargas. Forse. Ma proprio nelle semplici cose, anche qui nel viterbese, si può trovare la chiave per sorridere alla vita.