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Un ragazzo di 87 anni che trascina i cuori

All'Auditorium dell'Unitus il musical "Il Grande Albero" di don Antonio Mazzi

Don Antonio Mazzi, fondatore delle Comunità Exodus

Don Antonio Mazzi, fondatore delle Comunità Exodus

Un albero grande ha radici solide, forti. Che non si vedono, ma che sono fondamentali per sorreggerlo, per radicarsi nella terra, per trarre il nutrimento necessario a sostenere il tronco, i rami, le foglie, i fiori, i frutti. “Il grande albero” è un musical che è la parabola della vita. Lo portano in scena all’Auditorium dell’Unitus a Santa Maria in Gradi i ragazzi di Exodus, una delle quaranta comunità fondate in Italia (altre sette sono oltre i confini nazionali) da don Antonio Mazzi, un ragazzino di 87 anni che non solo è l’anima dello spettacolo, ma soprattutto di un progetto (culturale, si direbbe) per il recupero e l’assistenza di ragazzi difficili e comunque speciali. Una proposta che è la realizzazione concreta del messaggio evangelico: vicinanza agli ultimi, ai poveri, a chi ha bisogno, ai derelitti, a  giovani che hanno smarrito per tante ragioni il senso della vita e che questo prete senza peli sulla lingua e scarsamente teologo – come egli stesso si definisce – riporta su un cammino di normalità.

Un momento del musical "Il Grande Albero"

Un momento del musical “Il Grande Albero”

C’è una colonna sonora di straordinario impatto: De Gregori, Vecchioni, Mengoni (che da ragazzino a Ronciglione cantava nel coro di Exodus), Modugno, il “Laudato sii” di “Francesco, giullare di Dio” che chiude trionfalmente la rappresentazione); ci sono le coreografie alle quali partecipano proprio tutti e ci sono le storie che don Antonio racconta. Quella di Matteo che, nella sera in cui festeggia i diciotto anni con alcuni amici, viene fermato da una pattuglia dei carabinieri: ha bevuto un po’ di più, inevitabile la sanzione. E, mentre i militari stanno compilando il verbale, quel ragazzone viene colto da un raptus: colpisce con un bastone alla testa uno dei componenti della pattuglia che rimane in coma per 8 mesi e poi muore. In attesa del processo, Matteo viene accolto in comunità: la vicenda giudiziaria si conclude con una condanna a vent’anni di carcere. Ma l’aspetto più sconvolgente è che, 15 giorni dopo la sentenza, la moglie del carabiniere ucciso chiede di incontrare quel ragazzo: si abbracciano, piangono insieme, lo perdona. E insieme alla madre di Matteo fondano un’associazione che è tuttora in vita.

Il vescovo Fumagalli, Salvatore Regoli e il sindaco Michelini

Il vescovo Fumagalli, Salvatore Regoli e il sindaco Michelini

Già, perché il grande albero di don Mazzi ha radici invisibili, ma assai ramificate: la gioia, la vita, l’amore, la misericordia, il perdono. Sentimenti che la società attuale spesso dimentica in nome dell’egoismo, del consumismo, dell’apparire invece che dell’essere. E poi c’è la storia di “Din don dan”, un ragazzino sardo che il sacerdote su richiesta di un magistrato accoglie nella comunità di Bormio, in Valtellina. E’ un capetto anche lì come lo era nella natia (ecco perché quel giudice chiede di portarlo via: per salvarlo da una fine violenta), non ne vuol proprio sapere di psicologi, psichiatri, educatori… Come rimetterlo al passo? Don Antonio ha un’intuizione: gli propone di imparare a volare con il parapendio. E’ la svolta, “Din don dan” apprende con straordinaria lucidità e il primo lancio è un successo. “Alla fine di quella esibizione che avevamo seguito con il fiato sospeso – commenta don Mazzi – venne da me, mi abbracciò e mi disse: ‘Hai vinto’. Ma non avevo vinto io, aveva vinto la vita. Rimase con noi tre anni, poi tornò a casa. Dopo quindici giorni, lo uccisero per strada come una bestia”.La voce del sacerdote si incrina, si emoziona, il dolore è profondo: eppure, di fronte a tutto, non si abbatte. “La crocifissione di Gesù – spiega – non è solo morte. No, è un inno alla vita”. Un messaggio che arriva dritto al cuore.

Il folto pubblico presente alla rappresentazione

Il folto pubblico presente alla rappresentazione

Salvatore Regoli, responsabile della comunità Exodus di Capranica, lo definisce “l’anima della nostra anima”. In platea, il sindaco Leonardo Michelini e il vescovo Lino Fumagalli, tante autorità e tantissima gente; molti seguono la performance in piedi. “Abbiamo avuto così tante richieste – spiega Regoli – che ci sarebbero volute 2-3 repliche”. Alla fine si canta tutti insieme e, se si potesse, si ballerebbe anche. Bella serata, davvero: semplice, ma densa di contenuti. In fondo, basta così poco per essere essere sereni e in pace con se stessi e con gli altri.

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