“Il 13 novembre ero uscito con gli amici e la mia compagna, siamo tornati subito a casa e lì siamo rimasti’’. Daniele Zena vive a Parigi da qualche anno, ormai. E’ ingegnere, ha sale in zucca e anche sangue freddo, gira il mondo per lavoro. E però quello che è successo quel giorno – gli attacchi, i morti, i kamikaze, la paura – non poteva lasciarlo indifferente. Oggi, passato l’impatto emotivo degli attentati, è in grado però di poter ragionare a mente fredda. Il tema è delicato: com’è cambiata la tua vita, la vita di tutti gli abitanti della Ville Lumière, da quel 13 novembre.
“Vivo sulla Rive Gauche, zona Saint Germain, e se già prima visitavo poco i quartieri a nord, adesso li evito proprio – racconta – Sono zone multietniche, dove i terroristi sanno muoversi, ma anche confondersi, o magari trovare complicità e appoggi. Così come cerco di evitare i posti isolati. In centro i controlli ci sono, magari discreti, ma ci sono: diciamo che un tipo sospetto non potrebbe passare inosservato sugli Champs Elysées’’. Ecco, i controlli: città militarizzata? Zena ci aiuta a ricondurre le cose nella giusta ottica, senza esagerazioni che possono subentrare se si vede il quadro da lontano, e con la mediazione spesso spettacolarizzata dei mezzi di comunicazione.