“Il mondo della cooperazione è sempre più rosa”. Bruna Rossetti, presidente di Confcooperative Viterbo e Rieti, è particolarmente soddisfatta nell’annunciare che la presenza femminile è sempre più marcata e influente. Lo dimostrano i numeri, che contengono sempre una verità incontrovertibile: su 540.000 occupati nelle imprese di Confcooperative, oltre il 62% dei lavoratori è donna, mentre le socie rappresentano il 40%.
“Anche dal punto di vista della governance – prosegue la Rossetti – una cooperativa su 4 è a guida rosa, il 24% contro il 16% delle società di capitali e delle società di persone. E negli anni della crisi, la quota si è elevata, passando dal 57% al 61%”. I settori in cui è maggiormente attiva la presenza femminile sono cooperazione sociale, sanità e produzione lavoro.
“Donne e cooperative – commenta Bruna Rossetti – risultano essere davvero un binomio che, nella realtà, fa bene al Paese”. La mancata partecipazione delle donne al mercato del lavoro ha un riflesso negativo sul Pil. Secondo le ultime stime Istat sono poco meno di dieci milioni le donne che nel corso della loro vita hanno dovuto rinunciare al lavoro per motivi familiari: “Contrariamente a quanto ci dice Lisbona 2020 che chiede di arrivare al 75% per l’occupazione femminile”, chiosa la Rossetti. Insomma, spesso in Italia le donne sono costrette a compiere delle rinunce: o lavoro o famiglia, due questioni incompatibili il più delle volte per assenza di adeguate politiche a sostegno della famiglia (e non a caso, il nostro, è anche un paese che presenta un basso tasso di natalità). Di recente, però, ancora l’Istat ha diffuso nuovi dati sull’imprenditorialità femminile, che consegnano un quadro abbastanza esaustivo del fenomeno. Si è parlato sovente, negli anni della crisi, di donne che diventano imprenditrici per superare le difficoltà occupazionali. La verità è che come si è distanti dal raggiungimento del target europeo in riferimento al mercato del lavoro, anche l’imprenditorialità vede una massiccia concentrazione della componente maschile rispetto a quella femminile.
Nel 71,2% dei casi, infatti, gli imprenditori delle nuove imprese con dipendenti sono uomini. Il dato, spiega l’Istat, riguarda più il settore di attività economica che il territorio. L’imprenditorialità femminile delle imprese nuove nate, invece, si concentra maggiormente nel settore del commercio (32,9% contro il 67,1% dell’imprenditorialità maschile) e nel settore degli altri servizi (31,7% contro il 68,3%). La quota più bassa di imprenditrici si osserva nel settore delle costruzioni (15,4%). Nel complesso la quota di imprenditrici si attesta al 28,8%. La ripartizione territoriale non sembra essere un fattore rilevante. L’imprenditorialità femminile può così variare da un minimo del 27,9% nel Nord-ovest a un massimo di 29,9% nel Centro.
Secondo l’Osservatorio di Unioncamere e InfoCamere le giovani donne stanno anche cominciando a sperimentare forme di imprenditoria in diversi settori, molti dei quali storicamente “occupati” dagli uomini, tipo le attività finanziarie e assicurative (cinquemila imprenditrici under 35 che rappresentano oltre il 33% del totale, come riporta Cna Impresa Donna), quelle del settore artistico, sportivo e di intrattenimento (32%), quelle immobiliari (30%) e professionali, scientifiche e tecniche (29%).
“Dobbiamo fare di più – conclude la presidente Rossetti – favorendo innanzitutto le politiche di conciliazione vita-lavoro. Sarebbe un indicatore di civiltà prima ancora che un moltiplicatore di PIL”.