L’hanno tolta in un attimo. Il braccio meccanico di una gru l’ha sollevata come un fuscello e l’ha adagiata su un camion. E’ partita così, chissà per dove, chissà se tornerà. L’edicola di viale Trieste, di fronte alla chiesa dell’Ellera, non c’è più ormai da qualche giorno. E chi si trova a transitare di lì ancora non ci ha fatto l’occhio. Fermi al semaforo – che si percorra lo stesso viale, o che si venga da via della Caserma, o che ancora si arrivi da via Gorizia – quell’angolo appare vuoto. Libero. Nudo.
E’ un altro piccolo pezzo di città che se ne va. E vai a capire le ragioni. La crisi, certo (l’edicola aveva cambiato più volte gestione negli ultimi anni). Crisi economica ma anche e soprattutto la crisi della carta stampata. Nessuno legge più, signora mia, e quelli ancora disposti ad andare in edicola a comprare un giornale (un quotidiano, un settimanale, un periodico) sono una razza in estinzione. Buffi animali urbani dalle abitudini curiose: s’alzavano presto la mattina, scendevano di casa fino al giornalaio di fiducia, due parole di cortesia (”Freddo oggi, eh?”, ”A casa tutto bene?”, ”L’inserto Economia glielo incarto o lo legge subito?”), un salto al bar, una scorsa veloce – toccandosi bene nelle parti giuste – agli avvisi funebri attaccati appena dietro l’angolo. Cose così.
No, non sarà più la stessa vita senza quell’edicola. E a dire il vero non era più la stessa neanche l’edicola, sostituita negli anni dai modelli sempre più recenti, più grandi, talmente spaziosi da poter ospitare gli altri prodotti che avevano invaso il mercato (buste sorpresa, giochi per bambini, ricariche telefoniche e ricariche varie, Gratta e vinci, biglietti della lotteria, libri, caricabatterie per cellulari, accendini, santini, biglietti per l’autobus, per il tram, per la metropolitana, per il Freccia rossa) fino a far diventare i giornali una merce marginale. Una volta, invece, i giornali erano il core business, laddove core può significare sì nocciolo in inglese, ma anche cuore in romanesco.
Era un’edicola piccola, allora, con le serrande arrugginite perché sempre esposte alle intemperie. Ma dentro, dentro era magìa pura. Uno scrigno dei sogni, per quei bimbi che vi trascinavano le mamme – dopo ore di trattative serrate, e di lagne infinite – per avere il pacchetto di figurine. Le figurine degli animali (ah, il vecchio album del Wwf…) e poi quelle dei calciatori, e dei cartoni animati. Le bustine si scartavano lì, su due piedi, direttamente sul marciapiede, tanta era la fretta di sapere se c’era quella che mancava per completare l’album. Perché ogni generazione ha avuto il suo Pizzaballa.
Poi, da più grandi, toccava ai fumetti. In un tempo in cui non si poteva ancora comprare con un clic questo o quel numero, bisognava soltanto aspettare. Un mese intero per Dylan Dog. Due settimane per un Uomo Ragno qualsiasi. Una settimana – che culo – per Topolino. Per sicurezza, a ridosso della data prevista per l’uscita, si passava a controllare, e a chiedere: ”Scusi, è arrivato l’ultimo Nathan Never?”. Risposta dell’omino dietro il bancone, sommerso da mazzette di Sole 24 ore, Corrieroni e Corrrierini: ”No, regazzi’, te l’ho detto pure ieri e l’altro ieri”. ”Vabbe’, scusi. Quando arriva me ne mette da parte una copia?”. ”Se non la pianti te la spacco sulla capoccia, la tua copia”.
E ancora, venne la stagione del Corriere dello sport, e del mitico Guerin sportivo. Che usciva il mercoledì, e quella notte d’estate trascorsa insonni lì davanti, ai giardinetti, per accaparrarsi la prima copia, per annusarla e poi leggersela piano, perché doveva durare tutta la settimana, e di lì a sette giorni sarebbe stata imparata a memoria, come tutte quelle precedenti, e quelle successive.
Era un luogo dell’anima, quell’edicola. Ma anche un punto di riferimento per almeno due quartieri: la popolosa Ellera, certo, e il riservato, già dal nome, Paradiso. E’ vero, di rivendite ce ne sono altre, in zona, per esempio quella comodissima di via Friuli. E poi oggi i giornali si vendono ovunque, persino nei supermercati (peccato che non li compri più nessuno, ma questo è un altro discorso). Ci si incontrava all’edicola, ecco. Quando si usciva da scuola, per un passaggio fino a casa. O quando si doveva scendere in centro con gli amici, o andare al catechismo, o arrivare fino al Corso, magari con la prima fidanzatina. Le panchine di peperino, l’ombra dei platani, il manto di foglie gialle in autunno, le auto che sfrecciano verso posti lontanissimi ed esotici, tipo la Quercia. Una volta, due volte, ci è passato anche il Giro d’Italia: un serpentone velocissimo e colorato, i ragazzi coi nonni o coi genitori che salutavano e battevano le mani. Davanti all’edicola.