Che uno dice: siamo sotto Natale, invece di girare per Viterbo e rischiare di rimanere imbottigliati nelle solite cose (mercatino cinese, centri commerciali gonfi di gente, via Saffi triste e deserta…), perché non facciamo un salto a Roma? Magari si becca una novità. Magari, sulla scia dell’entusiasmo, si respira un’aria un tantino diversa.
E così ci si imbatte nella fragrante capitale. Al Teatro dell’opera è in scaletta il concerto di Capossela, che festeggia venticinque gloriosi anni di carriera. A Santa Maria Maggiore ci sono quattro camionette e un carrarmatino dell’esercito, non si sa mai scappasse fuori un Mullah Omar dell’ultim’ora. E lì, a piazza Esedra, ecco l’abominevole Eataly col suo “Marry Christmas” in bella vista. “Ma ‘marry’ non sarebbe il verbo sposare? – ci si chiede – Forse era meglio ‘Merry’. Boh, può darsi che sia una manovra di marketing che sfugge a noi comuni mortali: sposa il Natale, e compra un pacco di pelati a 25 euro”.
Comunque. Poco più in là, sempre sulla stessa piazza, trionfa (per luminosità) il cartello che non ti aspetti. Montata sopra un palo di ferro, tra la zampa che sorregge e l’orologio che fa da cappuccio, si legge su un rettangolo a neon l’insegna “My bus”. Con a fianco una manina disegnata che indica di guardare a destra. Gli occhi, così, seguono il consiglio. E si concentrano su una vetrina di un negozio di lusso con un mucchio di A4 appiccicati.
Il sito internet che raggruppa l’idea di base è www.mybus-europe.jp. Cioè, stiamo parlando di una piattaforma giapponese. Normale trovarla in Capitale. Logico, anzi. Poiché ci stanno più occhi a mandorla che sguardi da discepoli dell’imperatore Costantino.
Ma cosa vendono costoro? Pacchetti. No, non natalizi. Pacchetti turistici. E uno già si illude: “Colosseo, Fori, terme, musei, necropoli, parchileonardo, colli. Troppa roba c’hanno ‘sti romani da smerciare al viaggiatore orientale”. Manco per il ciufolo, invece. Il binomio maggiormente proposto, che dovrebbe essere poi quello anche più richiesto, è Civita di Bagnoregio-Bomarzo.
Tra caratteri incomprensibili e spiegazioni altrettanto enigmatiche, infatti, svettano la foto della città che muore e la “bocca” mastodontica del Parco dei mostri.
Non si capisce molto altro, ad essere sinceri. Perché tra gente di paese già è difficile trovare uno che comprenda l’inglese, figuriamoci il giapponese. Due cose però sono chiare: il tour (in bus) inizia alle 8 di mattina. E poi, ha quattro tipologie di prezzo: centodieci, centoquaranta, centocinquanta e centottanta euro. Mica poco (riflessione). Considerando che si parte da Roma e non da Osaka.
Cacchio, allora la Tuscia funziona (seconda pensata). Ha un suo mercato.
Sì, però poi di fianco, sulla vetrina, non c’è Viterbo. Non c’è Tuscania. Non ci sono Lubriano, Montefiascone, Tarquinia, Roccalvecce, Tessennano e via dicendo. Come mai? Semplice: perché nessuno li conosce (anche se magari hanno da offrire cose comunque interessantissime).
E perché allora non sfruttare (nel senso migliore del termine) siti decollati come Civita e Bomarzo, costruendogli attorno un percorso? Una rete? Un’offerta organizzata, intelligente e collettiva? Perché?
Chiusura: siamo arrivati fino a Roma per farci le stesse domande che ci ripetiamo da 30 anni a Viterbo. Non avendo ancora capito che Civita non è un “modello turistico”, bensì un posto unico, benedetto da dio e dalla sorte, che andrebbe utilizzato come volano per il resto della Tuscia.
Buone (amarissime) feste.