Abbiamo portato a compimento un lavoro durato quasi due anni. Un periodo lungo che, tuttavia, ha permesso di mantenere alta l’attenzione sulla necessità di incentivare e sostenere la coltura della canapa industriale e le filiere che ne possono derivare. Un periodo lungo che ha visto nel nostro Paese, da nord a sud, il moltiplicarsi di iniziative di coltivazione, di studio, di divulgazione, di progettazione e programmazione relative alla coltura della canapa.
Liberare l’agricoltore dai vincoli di coltivazione che hanno relegato la filiera a un ritardo competitivo di almeno cinquant’anni. E’ questo l’obiettivo della legge approvata in sede legislativa in Commissione Agricoltura alla Camera dei deputati. Il mondo canapicolo italiano spera in una giusta rivalutazione della coltura, in passato una delle voci principali della nostra economia. La legge rappresenta una risposta concreta a un settore andato in crisi soprattutto per la politica aggressiva delle multinazionali, con l’espansione del petrolio e dei suoi derivati, e con l’affermarsi di un pregiudizio che ha accomunato le varietà coltivate illecitamente da quelle ammesse alla coltivazione per la produzione industriale tessile e alimentare, iscritte in un apposito elenco europeo e contenenti un tenore di tetraidrocannabinolo inferiore allo 0,2%. Proprio in considerazione di questa errata interpretazione, a partire dagli anni Settanta, la coltura della canapa è stata oggetto di un ridimensionamento drastico che ha portato in poco tempo la coltura a scomparire dai nostri campi coltivati. La legge dunque vuole ora creare le condizioni per coprire il distacco maturato con gli altri Paesi, in primis la Francia, dove la coltivazione della canapa non si è mai interrotta.
Dobbiamo sostenere gli agricoltori e gli imprenditori che ci credono e che vogliono investire in questo settore: per questo abbiamo ristabilito un quadro normativo che consente agli operatori della filiera canapicola, e in particolare agli agricoltori, di lavorare con serenità, così come avviene per le altre colture, destinando al settore risorse economiche per la coltivazione, le filiere e la ricerca.
Nel primo articolo, sono racchiuse le motivazioni che spiegano il perché della necessità di questa legge: la canapa è una coltura in grado di contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale in agricoltura, del consumo di suolo, della desertificazione e della perdita di biodiversità. Si tratta cioè di una coltura in grado di aiutare il settore primario nei confronti di tutte le delicate sfide che è chiamato ad affrontare, in testa i cambiamenti climatici, in modo ormai improcrastinabile.
A proposito di contrasto alla perdita di biodiversità è utile ricordare che gran parte delle varietà di canapa coltivate nel nostro Paese nel secolo scorso, sono andate perdute. Nei decenni è stato fatto tuttavia un grande lavoro di ricerca e sperimentazione, in primis ad opera del CREA, finalizzato alla definizione di una gamma di varietà che fossero adatte ai nostri diversi ambienti di coltivazione. Lavoro che è ancora in atto, che sarà necessario censire e mettere a disposizione degli agricoltori e che permetterà di ricostituire una adeguata pluralità di varietà. Nell’articolato vengono elencate le attività legate alla coltura della canapa sostenute e promosse e i prodotti che possono esserne ricavati: l’unica filiera che non vi rientra è quella erboristica e che impiega le infiorescenze. Infatti le sostanze farmacologicamente attive presenti nelle infiorescenze della canapa, possono essere estratte e impiegate solo nell’ambito della disciplina dei medicinali e da soggetti autorizzati.
Ritengo che la semplificazione relativa agli obblighi del coltivatore, debba essere considerata, insieme ad altri aspetti presenti nella legge, un passo avanti anche culturale che, lungi dall’essere risolutorio nei confronti di un certo pregiudizio maturato nei decenni attorno a questa coltura, deve essere supportato da attività di divulgazione e di conoscenza della coltura stessa e delle sue potenzialità, economiche e ambientali, anche attraverso attività di formazione.
La legge stabilisce a tutela del coltivatore, che l’agricoltore che abbia usato semente certificata di varietà ammesse, quindi con un tenore di tetraidrocannabinolo (THC) inferiore allo 0,2%, e abbia coltivato secondo la norma, non ha responsabilità se a seguito di campionamento viene riscontrato nella sua coltivazione un livello di THC fino allo 0,6% e, in questo caso, non si procede al sequestro o alla distruzione della coltivazione stessa. Il provvedimento che adesso sarà sottoposto all’esame del Senato è frutto di lavoro e di confronto, risultato di culture e sensibilità diverse, il cui obiettivo è quello di dare una concreta possibilità di sviluppo ad una coltura che ha rappresentato tanto per il nostro Paese e che può tornare a ricoprire un ruolo importante.
Alessandra Terrosi
Deputato del partito democratico