17112024Headline:

Rsa, storie di ordinaria disperazione

Viaggio tra i familiari dei pazienti ricoverati nelle Residenze sanitarie assistenziali

Una delle tante proteste dei familiari delle persone ricoverate nelle Rsa

Una delle tante proteste dei familiari delle persone ricoverate nelle Rsa

Incredulità, impotenza, disperazione. Increduli, perché è quasi impossibile riuscire a sopportare, insieme al dispiacere di avere una persona cara ricoverata in una struttura assistenziale, “lo scaricabarile tra enti e istituzioni fatto sulla pelle dei più deboli”. Impotenti, perché si ha la sensazione di non riuscire a far nulla contro chi, nell’Italia degli sprechi e degli scandali, “si riempie la bocca con parole tipo welfare o poi nella pratica si dimentica di chi ha bisogno”. Disperati, perché “i soldi non bastano neanche per arrivare alla fine del mese e la richiesta di migliaia e migliaia di euro necessari per mantenere i propri parenti malati in Rsa è insostenibile”.

Sono i sentimenti che provano i familiari dei pazienti ricoverati nelle Residenze  sanitarie assistenziali, la cui vita è stata completamente stravolta dalla delibera del Comune di Viterbo numero 142 del 29 aprile scorso, che esclude il contributo di Palazzo dei Priori nel pagamento della retta delle strutture anche per chi ha un Isee a zero e un reddito inferiore a 13mila euro annui, ma magari possiede un conto corrente o una casa di proprietà. La legge regionale Battaglia del 2007, regnante il governatore Piero Marrazzo, impone ai Comuni di contribuire, ma la Regione Lazio ha tagliato i fondi all’amministrazione Michelini che ha imposto ulteriori restrizioni ai ricoverati. Facendo ricadere il peso economico delle Rsa sui malati e sulle loro famiglie.

Ci sono storie che sfiorano il surreale, altre sono agghiaccianti. Tutte trasudano disperazione. “Mia sorella ha 50 anni, soffre di problemi psichiatrici da quando ne aveva 15 – racconta il fratello di una ricoverata -. Non possiede immobili o altri beni, percepisce una pensione di 165 euro al mese. Ha un reddito annuo di 1440 e quindi rientrava nella fascia meritevole di contributo comunale per il pagamento della retta, ma siccome ha un conto corrente aperto a suo nome, dove riceve l’accredito della pensione, il Comune di Viterbo ha negato il contributo. La cosa grottesca è che al momento del controllo su quel conto c’erano solo due euro… Ora la struttura in cui è ricoverata ha scritto a me, che di mia sorella sono tutore, per chiedermi gli arretrati. Migliaia di euro che io non possiedo”.

I genitori degli ospiti delle Rsa in consiglio comunale

I genitori degli ospiti delle Rsa in consiglio comunale

Il rischio è che le strutture, che fino ad oggi hanno cercato di tenere duro pur senza ricevere la parte di retta spettante al Comune, alla fine siano costrette a dimettere i pazienti non in regola. “Mia sorella ha bisogno di assistenza medica continua – aggiunge – e in casa non è gestibile. Io ho già rinunciato a molti aspetti della mia vita privata per occuparmi di lei, ma adesso siamo all’ultimo atto: come faccio se non posso pagare e il Comune non partecipa?”.

A scavare tra le storie dei tanti associati dell’Aforsat, l’associazione che ha presentato ricorso contro le scelte del Comune di Viterbo, si scoprono situazioni limite di cittadini normali, non certo ricchi e neanche benestanti, la cui esistenza è stata sconvolta da quella ormai famosa delibera. Testimonianze da brivido. “Mia nonna sta in Rsa da due anni – racconta una giovane, con un lavoro precario e a carico un figlio poco più che adolescente -. I miei genitori sono mancati da qualche tempo e le sono rimasta solo io. Lei ha un reddito annuo di 8mila euro, ma a causa di 66 euro sul conto corrente per il Comune non ha diritto al contributo. Io per il 2015 ho continuato a pagare con la sua pensione la quota parte spettante al paziente, ma la struttura sta facendo i calcoli degli arretrati e chiederà soldi che non abbiamo. E’ umiliante non riuscire a far fronte alle spese per un anziano che andrebbe tutelato e di cui invece il sindaco Michelini e la sua giunta si sono completamente lavati le mani”.

A sinistra, Maria Laura Calcagnini, presidente Aforsat

A sinistra, Maria Laura Calcagnini, presidente Aforsat

Tra i familiari colpiti dal provvedimento comunale, alcuni ancora attendono con angoscia i conteggi degli arretrati, con un minimo di tre zeri, da parte delle società che gestiscono le Rsa. Altri ammettono di stare con l’acqua alla gola. “Non ne posso più, mi va via la testa, sono ad un passo dal perdere il controllo – confessa un pensionato viterbese, che oltre alla madre in residenza sanitaria assistenziale invalida al 100%, ha a casa anche una moglie malata a cui badare -. Mamma non possiede nulla, ma ha un conto corrente dove ha risparmiato con fatica qualche euro per potersi garantire almeno un funerale dignitoso: quindi, secondo il Comune, non ha diritto al contributo. Ora abbiamo letto che stanno lavorando a un regolamento, ma a che serve se non ritirano la delibera che ci ha rovinato la vita o se lo stilano sulla base di quella? Questa vicenda ha tolto serenità a me e alla mia famiglia, da quando c’è quel maledetto provvedimento e sono arrivate le richieste delle strutture stiamo impazzendo. Confidiamo nel ricorso presentato dall’Aforsat, altrimenti non so proprio che fine faremo noi e questi poveri vecchi”.

Le storie toccanti di tante famiglie in difficoltà saranno utili a Palazzo dei Priori per capire che ritirare la delibera 142 è doveroso, non tanto per una gentile concessione quanto come atto di equità e giustizia sociale? Ai posteri, o almeno al Consiglio di Stato, l’ardua sentenza.

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