Rieccole, le mucche in piazza (e non sono ammesse battute da Bar stadio, qui la faccenda è seria). Dopo Ospitaletto Lodigiano, stavolta la protesta si è spostata in capitale.
Ieri, a Roma, gli allevatori sono tornati a farsi sentire. E tra di loro una foltissima delegazione viterbese (un pullman) messa in piedi da Coldiretti. Quell’apparato tutto giallo che sta tentando in ogni modo di far ripartire un meccanismo inceppato.
“Siamo andati davanti un’Ipercoop – dice il presidente Mauro Pacifici – scegliendolo come luogo emblema, proprio come successo sabato scorso in Lombardia. La situazione è terribilmente drammatica. Non passa ora che non riceviamo diverse telefonate, la gente ci chiede se è il caso di chiudere o meno. Noi puntiamo a fargli tener duro, certi che qualcosa cambierà. Ma la strada è ancora lunga”.
“It’s a long way”, cantavano quelli. E la strofa ci sta perfettamente. Molte stalle infatti (già mille hanno abbandonato, per la precisione) sono sull’orlo del fallimento. La maggior parte delle quali ubicate in terreni impervi. E cioè laddove lievitano le spese vive. Il problema (logico) gira attorno al dio denaro. Cinque maledetti centesimi per litro condannano una quantità abnorme di aziende. “La cifra si ricava dalla differenza tra i costi di produzione, 38-41 centesimi – aveva già rimarcato Coldiretti, su queste colonne – e i compensi riconosciuti, pari a 34 centesimi”.
Ma come se ne esce? “Un tempo il comparto agiva diversamente – prosegue Pacifici – la modalità agricola aveva altri margini e un iter più snello. Poi è subentrata una regolamentazione che ha tramutato le stalle in piccole industrie. Macchinari all’avanguardia, abbattitori di temperatura e concorrenza spietata”.
Ed eccola, la concorrenza. Quella che poi fa il prezzo. Stavolta si è protestato guardando alla Lactalis (che ha risucchiato bestioni tipo Parmalat, Galbani, Invernizzi e Locatelli). “Acquistano il latte all’estero – aggiunge sempre lui – principalmente nell’est Europa, e ci mettono in ginocchio. In Polonia, tanto per fare un esempio, i controlli sono quelli che ci stavano da noi cinquanta anni fa. Logico che non possiamo competere con loro. Ma, se la vediamo da un altro punto di vista, nemmeno loro sanno e possono starci dietro”.
E qui forse si gioca la vera partita. “La qualità dei nostri prodotti è netta – chiuda Pacifici – Incomparabile, sia da un punto di vista qualitativo che nutrizionale, per non parlare poi delle condizioni igienico-sanitaria. Dobbiamo promuovere una legislazione nazionale che riconosca ciò. Solo così si allenterà un cappio ormai fin troppo stretto”.