22112024Headline:

Monocolture e pesticidi: la morte della Tuscia

Accademia Kronos si interroga sull'espandersi dei noccioleti e sulle scelte politiche

Un nuovo impianto di nocciole, zona Sutri

Un nuovo impianto di nocciole, zona Sutri

Si è parlato proprio in questi giorni, e proprio su queste colonne, della recente decisione scellerata appena presa dalla Camera, a braccetto con la Regione Lazio. Il tema era quello dell’utilizzo e della vendita dei pesticidi. Mascherati sotto il nome meno amaro di “prodotti fitosanitari”.
L’agricoltura moderna d’altronde (ultimi sessanta anni, anche comodi) impone logiche illogiche. Fondate sul profitto delle multinazionali, sui finanziamenti elargiti senza criterio, sulla produzione smisurata e pompata che poi sovente fa rima con “spendo più di quanto guadagno”.
Il tutto in un contesto, scendendo in terra di Tuscia, dove fino a cento anni fa si respirava un’aria stile Eden. “Era una terra incantata – dice Filippo Mariani, per Accademia Kronos – ricca di boschi lussureggianti, di campagne con ogni tipo d’albero da frutto, con vasti vigneti e rigogliosi oliveti e poi orti a non finire e prati con armenti al pascolo”.
Oggi invece, come siamo messi? “Purtroppo regnano le monocolture. Chi transita sulle strade del triangolo Viterbo-Campagnano-Blera incontra monotone distese di arbusti che producono nocciole. Si salva solo qualche residuo della vecchia foresta Cimina”.
Guardando la cosa da un lato strettamente economico, si può serenamente dire che quantomeno le nocciole (rispetto ad altre sfortunate cugine) rendono. Ma dietro a questo presunto guadagno, cosa si nasconde? “Una maledizione – aggiunge – poiché vengono usati ed abusati pesticidi, diserbanti, e fertilizzanti che minacciano la salute degli animali e delle persone”. Animali che sono drasticamente diminuiti, o comunque si tengono lontani. Persone che, non è (ancora) dimostrabile ma è risaputo, facilmente si ammalano.
Per non parlare poi dell’aspetto “immobiliaristico” della faccenda. Se mai un qualcuno follemente illuminato decidesse di acquistare un terreno in zona, magari per promuovere un’azienda bio, si va dai 40 ai 50mila euro per ettaro. Ergo: il fallimento è certificato già prima della partenza.
E dunque, ragionando, ci si chiede: dinnanzi ad un tale scempio, come

Pesticidi: ciò che semini poi raccogli

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pensa di porre rimedio la politica dei piani alti? Semplice. La Regione, sempre quella di cui sopra, per sicurezza ha raggiunto un accordo con Ferrero e Ismea, per altri 10mila ettari di noccioleti. Senza parole.
Seconda domanda: e cosa insegna la storia riguardo la chimica applicata all’agricoltura? “A lungo andare i terreni trattati con massicci prodotti chimici inizieranno a non rendere più – sempre lui – serviranno pertanto ancora e ancora fertilizzanti, in parte ricavati dal petrolio, per garantire una certa produzione”.
Olé. Non resta altro da fare che chiudere esattamente con le stesse parole utilizzate per i fitosanitari: le istituzioni dovrebbero premiare le buone pratiche, invogliare la reintroduzione di vecchi sistemi e di vecchie varietà abbandonate. Assistere gli agricoltori. Fare in modo che i pesticidi siano banditi. Dovrebbero, già. Ma nel 2015 comanda ancora la cricca Glifosate.

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