Penso che tutti già sappiate che, dal 1986, sono un Capo Scout. Se ripenso a quante bellissime esperienze hanno fatto i ragazzi e le ragazze del mio Gruppo (Agesci Viterbo 4), scrivo un libro. L’estate scorsa, uno di loro – Luca Satulli, 15 anni – ne ha fatta una particolarmente singolare: ha fatto parte del contingente italiano al Jamboree 2015, in Giappone. E’ stato il primo “ambasciatore” nel mondo del nostro Gruppo, costituito nel lontano 1972, ed uno dei pochissimi viterbesi – stavolta era l’unico – ad esserlo stato. Con un pizzico di orgoglio, voglio “ospitare” nel mio blog il suo racconto, sperando che l’apprezziate.
“Capita a tutti di sognare. Alcuni sogni ci divertono, altri ci commuovono, altri proprio non riusciamo a spiegarli. Direi che è in questa ultima categoria che rientra il sogno di cui parlerò. Della fine di luglio e dell’inizio di agosto non ho ricordi precisi. Mi sembra solo di aver fatto questo lunghissimo sogno, veramente strano. Tutto parte dall’aeroporto di Fiumicino. Mi guardo intorno, cercando di riconoscere i volti che mi circondano e di capire dove sono e perché mi ritrovi lì. Eppure quelle persone me le ricordo bene: i loro nomi e i loro volti sono ben scolpiti nella mia mente. In molti mi parlano e io, per non rischiare di mostrare agli altri il mio totale disorientamento, rispondo. Siamo in fila per il check-in. Grazie a vari discorsi di varia natura, riesco a capire quale sia la destinazione: Osaka. Quindi procedo in fila e… ehi aspetta. Osaka!? Ma seriamente? Adesso cosa c’entra il Giappone? Dopo poco mi ricordo di essere in un sogno, quindi non mi preoccupo. Procedo nella fila del check-in e, dopo varie ore di attesa, si parte.
Dopo qualcosa come 12 ore di aereo, che, nonostante tutto, procedono spensieratamente, scalo a Pechino e altre 4 ore di volo per Osaka, arriviamo in Giappone. Ancora con gli occhi lucidi dopo aver visto Osaka immersa nelle infinite luci notturne (una delle cose più affascinanti che abbia mai visto e che, da sola, giustificava tutto il viaggio fatto finora), scendo dall’aereo. Prima di andare avanti con il racconto, mi sembra giusto descrivere ciò che, appena uscito dall’aeroporto, ho provato. Non voglio cadere nella banalità o nel buonismo, però effettivamente, in Giappone, si respira un’aria diversa; non posso confermarlo ma io, forse condizionato dal mio amore per il Giappone, dalle scritte incomprensibili in giro o dal sano smog di Osaka, ho percepito qualcosa di diverso. Veniamo ospitati in una sorta di mensa giapponese a Kobe-Tarumi, e, a circa mezzanotte, riusciamo finalmente a mangiare. Il jet-lag non riesce a vincere la stanchezza e mi addormento subito.
Il giorno dopo ci portano in una scuola giapponese, dove ci assegnano, a coppie, ad alcune famiglie locali, che ci avrebbero ospitato nei due giorni seguenti. Dopo una festa di benvenuto in pieno stile “matrimonio nel Sud Italia”, in cui avrò assunto un numero spropositato di calorie, parto insieme al mio compagno con la nostra famiglia e giungiamo a casa. Dopo un’altra festa di benvenuto, questa volta fatta dal gruppo scout locale (se non si fosse capito lo stereotipo del “giapponese ospitale” è tra le cose più vere al mondo), e dopo un altro giorno passato tra templi, giardini zen, castelli, ponti sospesi e una tonnellata di regali, arriva il momento di separarci dalla nostra famiglia. Tutti noi del reparto ci riuniamo di nuovo e partiamo per l’isoletta di Kirara-Hama. La mia mente arriva finalmente alla risposta: stavo per partecipare al Jamboree, evento che, ormai da molto tempo, avevo bollato come “sogno”. Mi sembra una cosa troppo straordinaria, ma d’altronde, sono in un sogno: anche questo può accadere.
Se ve lo state chiedendo o se già l’avete fatto, sì. I giapponesi sono diversi da noi, ma non interpretate male queste parole. Ci troviamo dall’altra parte del mondo, e, dopo tutto il viaggio, ritrovare una cultura uguale alla nostra sarebbe stato oltremodo noioso e insoddisfacente. Dopotutto sono le diversità a rendere bello il mondo (so che è una frase scontata, ma dopo un’esperienza simile, non si può non sottolineare), e Baden Powell, quando nel 1920 diede vita al primo Jamboree mondiale, questa cosa l’aveva già capita molto bene.
Dopo 8 sobrie ore di pullman, eccoci arrivati a destinazione. E il delirio (quello positivo) inizia a palesarsi davanti ai nostri occhi. Migliaia di persone con lo zaino sulle spalle che si dirigono verso i propri sottocampi e altrettante già all’opera per montare le tende. Le tende. Potremo parlare ore ed ore delle tende che, solo durante una passeggiatina qualsiasi per il sottocampo, si potevano ammirare: ogni nazione aveva un proprio modello, diverso da quello di una qualsiasi altra. Non ne parlerò troppo per non annoiare, ma quel tappeto immenso che si estendeva fino a vista d’occhio era un vero e proprio museo dello scoutismo. Indifferente della riuscita della mia spiegazione appena fatta, sperando che possiate immaginarvi il panorama, continuo il racconto.
Arriviamo al nostro sottocampo per montare le tende dopo aver assaggiato quel cibo confezionato spaziale (non nel senso che era buono, ma che ricordava vagamente il cibo servito nello spazio agli astronauti) che ci avrebbe accompagnato fino alla fine di quest’esperienza. Se può interessare, si parla di patatine in bustina, pane confezionato e strani tipi di carne (naturalmente confezionata), salvo rare eccezioni. Prima di andare a dormire usciamo a fare un giretto e a farci un’idea generale della (stupenda) situazione.
I giorni seguenti passano velocemente. Troppo. Ogni giorno ci fanno fare un’attività particolare che ci tiene impegnati per circa 5 ore. Ognuna ha un tema particolare: acqua, sviluppo globale, scienza, cultura, comunità, natura e, la più bella, pace. La più bella perché andare al parco della pace di Hiroshima e vivere un po’ più da vicino quell’orrore che si sente spesso nominare ma di cui giusto pochi comprendono la portata, non capita tutti i giorni. Un’esperienza traumatizzante, emozionante ma estremamente formativa.
La sveglia suona molto presto, circa alle 6 per i più fortunati che non devono andare a mettersi in fila per prendere la colazione. Gli spostamenti a volte sono esagerati e alcune code, soprattutto allo scout shop, interminabili. Tutte problematiche che, confrontandole con i lati positivi dell’esperienza, finisci per non notare. Perché il Jamboree è un mondo, in cui stare mesi non basterebbe per visitarlo a fondo. Un mondo stupendo, pieno di bandiere, cibi e odori diversi, colori sfumati, risate, chiacchierate fatte con due americani, un australiano e un giapponese contemporaneamente (a volte al limite del non-sense, ma va bene così), e lingue diverse. Lingue che, tuttavia, risultano a volte ininfluenti: capita che, quando l’inglese non è dei migliori, ci si capisca con gesti e occhiate (che poi non sono sicuro di ciò; magari mi è capitato di capire una cosa che, con quello che mi volevano realmente dire, non c’entrava niente, ma mi piace pensare positivamente).
Che alla fine le attività, per quanto siano carine e interessanti, non erano niente in confronto a quello che si poteva fare nel tempo libero. Voglio dire; per quanto mi sia divertito con le attività acquatiche, e per quanto possa essere unico fare il bagno nell’oceano (l’acqua era sporca e ricordava vagamente il petrolio, ma non ci faccio caso), alla fine, sempre di un bagno in mare stiamo parlando. Ciò che mi ricorderò per sempre di questo sogno è il camminare e vedere ragazzi cinesi, americani, egiziani, arabi, indiani e tailandesi camminare vicino a me e, perché no, tutto il divertimento con i miei amici di avventura (da cui ho imparato a lavarmi vestito per farmi la doccia e insieme lavare i panni sporchi). È lo scambiare distintivi per strada, è il vedere un’esibizione di percussioni di brasiliani, è il cantare canzoni a squarciagola insieme ai nostri (ottimi) chitarristi di fiducia.
È il capire che le differenze, come detto prima, rendono il mondo molto meno noioso e molto più colorato. Potrei parlarne per giorni di cosa è stata questa esperienza, ma, anche questa volta, spero che queste poche parole siano bastate.
Il sogno è quasi finito. Manca giusto un giorno alla partenza. Il nostro sottocampo, dove di solito cercavamo disperatamente un riparo dal caldo (il caldo quello inimmaginabile, che ti porta a spendere una marea di soldi in ventagli e gelati), è ormai smontato. Saliamo sul pullman senza assistere alla cerimonia di chiusura, boccone molto duro da mandar giù. Dal finestrino dell’autobus, vedo l’arena (il luogo in cui si tenevano le cerimonie) in tutte le sue luci e tutto il campo in lontananza. Con la mano saluto quel bellissimo posto che ha ospitato questi bellissimi giorni. Non so se questo posto esiste veramente nel mondo reale, ma, solo ad esserci stato in questo sogno, ci sono molto legato. Passiamo la notte nel pullman, per poi ritrovarci nel mattino all’aeroporto di Osaka. Saluto anche il Giappone, questo paese così particolare e complesso, che di sicuro rivedrò da più grande. Prendiamo l’aereo e, dopo aver dato un’occhiata ai manga comprati, mi addormento.
Mi risveglio. Piano piano riapro gli occhi. Sopra di me, il soffitto della mia camera. In uno stato di confusione mi guardo intorno, per poi rassegnarmi: ero tornato alla vita vera. Niente più fazzolettoni variopinti, niente più tende, niente più Jamboree. Mi alzo piano, cercando di non farmi accecare dal sole che passa dalla mia finestra. Sento un piccolo squillo; prendo il mio telefono e lo guardo: su Whatsapp un numero assurdo di messaggi da ogni tipo di gruppo, ma uno in particolare attrae la mia attenzione. Si intitola “Jamboree (bandierina del Giappone)”. Ancora più confuso, vedo su uno scaffale la mia macchinetta fotografica che nel mio sogno portavo sempre con me. La accendo e inizio a sfogliare le foto”.
Perché non era un sogno, ma realtà. Beh, se ancora siete qui – dopo un pubblico ringraziamento a Luca – voglio fare un pubblico invito a tutte/i. Sabato prossimo (7 novembre), alle 15, presso la Parrocchia della Sacra Famiglia, riprendono le attività – sostanzialmente mai interrottesi – del Gruppo Scout Agesci “Viterbo 4”. L’età richiesta? Dagli 8 agli 88 anni… Quella sopra esposta è solo una delle esperienze che si possono vivere.
Aspettiamo voi per farne di ancora migliori.