Capitan Andrea Meroi: che effetto fa?
“Direi che suona bene”.
Tutto qui…
“Posso aggiungere che mi fa evidentemente piacere, anche se nel basket la carica di capitano è un po’ diversa rispetto al calcio”.
Si nota una certa qual tendenza a minimizzare…
“Assolutamente no. Anzi, sono molto orgoglioso di quella fascia, anche se nella pallacanestro non usa”.
Un incarico per grazia ricevuta?
“Non credo proprio. Penso invece che coach Umberto mi abbia scelto perché sono l’unico viterbese doc e perché rappresento un po’ la storia di questa società”.
Cioè?
“Gioco nella Stella Azzurra da quando avevo 11 anni, esattamente la metà di quelli che ho oggi. Qualcosa vorrà pur dire”.
Con una parentesi a Guidonia.
“E’ vero, ero al mio ultimo anno da under e approfittai della possibilità di fare il doppio tesseramento”.
E lì c’era sempre messer Umberto Fanciullo…
“Al quale devo molto, è evidente”.
Come andò?
“Arrivammo alla semifinale playoff per la promozione in C, ma la perdemmo”.
E poi?
“Sempre e solo Stella Azzurra. In D, in C ed ora in B. E’ la mia casa”.
Ma forse è stato un limite non avere avuto esperienze diverse altrove.
“Per alcuni versi, sì. Nel senso che stare fuori è molto formativo sia sul piano tecnico che su quello caratteriale e umano. Ma c’è anche l’altra parte della medaglia”.
Vale a dire?
“Sono rimasto sempre a casa e ugualmente sento di essere cresciuto”.
Insomma sulla carta di identità come domicilio c’è quello della Stella Azzurra…
“Sì, in pratica è così. Sono profondamente grato a questa società che mi dà la possibilità di giocare a basket (che è la mia passione), di farlo in serie B e di non spostarmi da casa mia. Con i miei mezzi fisici e tecnici, non era facile e neppure scontato”.
Il sospetto è che ci sia sempre qualcuno che dica: “Giochi perché sei figlio di…”.
“E’ una faccenda che mi pesava molto soprattutto quando ero nelle giovanili”.
Oggi?
“Decisamente meno. Domenica scorsa ho giocato per 15′, altre volte non sono entrato per niente. Se sto in campo è perché credo di meritarlo per quello che faccio e per come lo faccio. Che siano 2 o 5 o 10 minuti o anche niente, non ha importanza. Umberto (sempre lui: Fanciullo, ndr) non fa sconti a nessuno”.
Qualche compagno ha mai mugugnato?
“E’ successo, ma non ci ho dato peso. E ho risposto moltiplicando l’impegno, l’applicazione, la volontà. Acqua passata, ormai”.
Ventidue anni, la passione per il basket e poi?
“Sono iscritto a scienze della comunicazione qui a Viterbo”.
La laurea?
“Ci vorrà un altro anno e mezzo per finire. Facciamo due per stare tranquilli”.
A casa che ne pensano?
“Che ho perso troppo tempo. Il che è vero, per carità”.
Rimproveri?
“Spesso e tutti meritati”.
Più il babbo o più la mamma?
“Tutti e due in parti uguali. Diciamo che si alternano”.
Il futuro?
“Collaboro con una rivista di videogiochi. Per ora è un hobby, spero che domani possa diventare qualcosa di più”.
In che senso?
“Intanto ci danno la possibilità di testare i nuovi videogames e poi, ad esempio, ho avuto modo di frequentare delle fiere specializzate, a Milano e in Germania. Vediamo che succederà: non ho programmi precisi e chiari. E anche questo è motivo di rampogne”.
Perché?
“La frase è scontata: ‘Studia invece di stare sempre lì davanti al computer’. Se fossi genitore, probabilmente direi le stesse cose”.
Quanto è bella la Terra di Tuscia, nel senso di squadra?
“E’ bella perché umile e perché ognuno fa il suo dovere, secondo caratteristiche. E anche limiti”.
Una specie di Mulino bianco del basket…
“Quando il coach si arrabbia, non sono proprio rose e fiori”.
Capita spesso?
“Abbastanza, ma sono tutte sfuriate meritate. E salutari”.
Si cresce anche così.
“Infatti. E’ successo domenica scorsa quando dopo il riposo siamo tornati in campo un po’ scarichi. E i risultati si sono visti: abbiamo subito ripreso il controllo della partita”.
E la lavagnetta ha avuto un po’ di calma…
“Quante ne ha viste e subite quella povera lavagnetta…”.
Programmi cestistici?
“Questo gruppo va avanti partita per partita. L’obiettivo è uno solo: vinciamo la prossima”.
Perché gruppo e non squadra?
“Perché tutte sono squadre, ma poche sono un gruppo. Noi lo siamo: viviamo tutti a Viterbo, spesso stiamo a cena insieme e anche dopo. Così possono nascere solo cose buone”.
E magari si va insieme anche in discoteca…
“Potrebbe anche succedere, ma allenamenti e partita vengono assolutamente prima. Bisogna essere professionisti anche fuori dal campo”.
E magari bisognerebbe pure riscaldare la mano nei liberi…
“E’ vero. Domenica ne ho sbagliati 4 su 5. Eppure in allenamento…”.
Dalla panchina hanno urlato: “I piedi!”.
“Ho sentito. Umberto dice che sbaglio la posizione delle punte. Ha ragione, ma io li tiro così ormai”.
C’è sempre tempo per migliorare,
“Sicuramente. Nel basket, come nella vita, c’è sempre qualcosa da imparare”.
In bocca al lupo, Andrea. Cuore di Stella Azzurra.